Serenella
coi soldi cravatte, vestiti, dei fiori
e una vespa per correre insieme al mare.
Al mare di questa città
alle onde, agli spruzzi
che escono fuori dalle nostre fontane.
E se c'è un pò di vento,
ti bagnerai,
mentre aspetti me
al nostro caffè. A. Minghi
“Rivedersi dopo oltre vent’anni con amici che non hai più cercato.
Di giorno basterebbero pochi minuti per un saluto di circostanza, ma di notte è un’altra cosa.
Di notte Bari può catturare e trasformarsi in un irreale cinema della memoria” G.Carofiglio
Il campanello squillò, una, due volte.
Viola guardò l’orologio sulla parete, le 23,30.
Uscì sul terrazzino, l’aria era ancora umida di pioggia, mista all’aroma dei gelsomini che si arrampicavano al muro antico, pieno di crepe, dove avevano dimora le piante di capperi.
-Antonio, che ci fai qui a quest’ora?-
-Scendi, c’è uno scoop che ti prendi la prima pagina.-
-Ma, piove, è tardi- protestò lei.
-Muoviti, vuoi fare la giornalista? Ecco impara che le notizie non ti arrivano alle nove del mattino sulla scrivania-
Viola rientrò, prese una felpa che si buttò sulle spalle e scese.
-Dai sali- Antonio le allungò il casco.
-Ma dove dobbiamo andare?-
-Monopoli, Massimo ha avuto una soffiata, stasera arriva un carico da mille e una notte-
-E tu con quello in testa te ne devi venire?- lo apostrofò Viola alludendo al cappello Panama che Antonio indossava.
La città era stranamente vuota per colpa del temporale, la strada scivolava via veloce e l’asfalto liquido assorbiva le luci dei lampioni.
Alla Vela giocavano a carte.
Il grande teatro se ne stava nero e triste, come un eroe vinto.
Il Dona Flor chiuso. Da tanto tempo. Restava l’aroma di un Alexander sulle labbra. Cacao al posto di noce moscata. Così li preparava Antonio. Perché a lei piaceva non troppo speziato.
Sul lungomare Viola osservava il profilo della città distesa alle sue spalle, in quel bagliore argenteo, tra la cattedrale e il faro.
Un cartellone pubblicizzava il programma estivo all’Arena dei Riciclotteri.
Il mare era inchiostro nero, stranamente tranquillo, al di là dei frangiflutti.
-Perché Massimo non ci ha aspettati?- domandò lei, alzando la visiera del casco.
-Perché Mal herba sta con quelli, fa l’infiltrato- rispose Antonio allungandole la Polaroid
-Tieni questa- aggiunse.
Viola chiuse un attimo gli occhi, nell’incoscienza dei loro vent’anni, di chi pensa che la vita sia un gioco, una partita a monopoli, un poker e che in qualche modo fossero capaci di giocare anche la morte.
Gli anni delle telefonate dalle cabine pubbliche, quando non c’erano cellulari e macchinette digitali.
In una polverosa biblioteca scovarono quei bizzarri soprannomi, mesi prima, quando lei e Massimo iniziarono a collaborare con un giornale locale.
Massimo era Mal herba, Antonio Mal Tempo e Viola Scarciofola.
E le sere d’inverno ai tavoli del Maltese si raccontavano storie, patorie, leggende.
Come bugie di pescatori e sogni sul pentagramma, lenzuoli in sanscrito.
La strada correva via veloce.
La torre se ne stava silenziosa al limitare della baia, arrivarono a piedi attraverso un campo di erbacce alte, in equilibrio precario tra la notte e le cicale.
-Vedi?- bisbigliò Antonio indicando un punto impreciso nel buio.
-Cosa?-
-Ecco-
Una luce sulla spiaggia rispondeva a un codice, una luce flebile sul mare.
Poi avvenne tutto velocemente, un motoscafo, le casse scaricate e tante persone, mezzi blindati, come sul set di un film.
Improvvise, venute dal nulla sirene spiegate, forze dell’ordine, qualche sparo.
-Scatta, scatta- diceva concitato Antonio.
-Andiamo, via, corri-
-E Mal herba?-
-Corri, sa badare a se stesso-
La corsa nella notte con il cuore in gola, le stoppie che ferivano le gambe nude.
Cadere e rialzarsi.
Poi la corsa a ritroso.
Rientrati in città fermi da Cesare. I ragazzi compravano i cornetti. Le due del mattino.
-E Massimo?- chiese ancora Viola.
-Abbi fede- rispose Antonio.
Seduti sui gradini della chiesa a scrivere l’articolo, tra briciole e zucchero sulle guance.
Le tre.
Il rumore di una motocicletta.
-Mal herba- dissero in coro.
Massimo si tolse il casco era fradicio, si era buttato in mare nel caos generale.
Si abbracciarono.
-Ragazzi ma una sigaretta ora me la fumerei-
Scoppiarono a ridere, mentre portavano al giornale il loro scoop.
Poi un passaggio ponte con un traghetto per la Grecia e urlare in faccia al mare che avevano vent’anni, e l’azzardo alla vita l’avevano fatto, corteggiando la morte.
Vent’anni dopo, un cartellone pubblicitario annunciava il programma estivo all’Arena dei Riciclotteri, alla Vela si giocava ancora a carte, e al Maltese ci si raccontavano storie, patorie e leggende.
Viola entrò nel locale rinato vicino al grande teatro.
-Posso avere un Alexander con il cacao?- domandò a un cameriere.
-Devo chiedere- l’uomo si allontanò e lo vide parlare con un altro uomo vicino al bancone, che alzò lo sguardo su di lei, scosse la testa e sorrise.
Viola si avvicinò.
-Mi hanno fatto una soffiata- disse abbracciando Antonio.
-E, immagino quale giornalista sarà stato- rispose lui.
Massimo si avvicinò: -Avete da accendere?-
Poi la notte se li portò via, seduti sui gradini di una chiesa, tra briciole e zucchero, la loro storia personale da raccontare di quella notte. Seduti alla Taverna del Maltese.
Mai stanchi di ricordare.
-Sapete dove vorrei andare?- disse Massimo.
-Alla Torre?- disse Antonio.
Pochi minuti dopo erano sulla strada, l’aria entrava dai finestrini, un vento caldo che accarezzava la pelle di Viola.
Restarono per un po’ seduti sulla spiaggia a guardare le onde.
L’alba era ancora lontana.
-Facciamo il bagno- disse Viola.
Il tempo era un’equazione fatta tra la vita passata e quella futura. In equilibrio perfetto quell’attimo di presente. Vent’anni dopo.