Il venditore di tappeti sulla Promenade des Anglais
Un pomeriggio afoso, i primi di Agosto, l’aroma di anice nei bicchieri sedute a un tavolino all’aperto sul lungomare, una manciata di chilometri da Genova.
Le gambe abbronzate, gli occhiali da sole appoggiati sul capo e sul tavolino numerosi depliant: per over-booking salta il viaggio a Montego Bay.
Rafaela e Gracìa propongono come alternativa un last minute a Marrakech, che ci fa recuperare anche un po’di soldi dall’assicurazione, che so già, spenderemo in inutili souvenir.
Una valigia per l’Alto Atlante di costumi e un dopo-sole (azzardato).
Gracìa inizia a raccontare la storia di un conoscente del nonno, un marocchino che gli salvò la vita in guerra e che ora vende tappeti sulla Promenade.
Poi il fragore di un tuono ci costringe a correre al riparo. Piove.
Il figlio di Rafaela ci accompagna alla stazione di Milano, in mosaici i pavimenti, conto i tasselli mancanti, erosi dal tempo e da valige da trascinare.
Mercanti improbabili e il peso di un aggettivo, da portarsi al collo, come il colore della pelle e reinventarsi un nome.
L’aeroporto, i turisti, il check-in, i ritardi.
Decidiamo per un caffé, l’ultimo “bevibile” da brave italiane esigenti.
-3 caffé–
-Uno macchiato–
-Uno con dolcificante-
-Uno leggermente lungo-
Il ragazzo dietro al bancone ci guarda e ride, avrà sì e no vent’anni.
Ridiamo anche noi rovesciate nelle vetrine dei duty-free.
Volo tranquillo tra riviste e libri a metà.
Amara sorpresa al nostro arrivo: i bagagli non ci sono. Dopo aver visto sfilare per l’ennesima volta l’ultima valigia sgualcita sul nastro ci dirigiamo al banco Lost &Found.
Compiliamo un paio di moduli.
-Visto che non era di nessuno, potevamo prenderci quella valigia…- inizia Rafaela.
-Sì e chissà cosa c’è dentro! Con la fortuna che abbiamo ci fermano in dogana- dice Gracìa.
Ci avviamo all’uscita. Piove.
Rafaela e Gracìa si voltano e mi guardano.
-Non piove mai in questi posti. Lo dicono anche le guide.- Mi difendo.
Andiamo a cena a fuori, dato che non dobbiamo passare in albergo a disfare i bagagli.
Il taxi è comodo, sa di nuovo, peccato che i sedili siano ancora avvolti dal cellophane, mi si incollano le gambe.
L’autista ci scambia per spagnole e mette su un CD, che racconta di un pianto a Gàlizia.
Il cibo speziato, le luci e complice la musica che inebria l’aria, ci ubriachiamo, tra respiri di narghilé e tè alla menta.
Perse nel souk a comprare vestiti da odalische.
Facciamo l’alba sulla terrazza del nostro albergo a raccontarci vecchi amori e amanti perduti.
Arrivano le valige e organizziamo la nostra vacanza alle porte del deserto.
Gracìa con i bigodini in testa, Rafaela con un’improbabile maschera al garofano e io lego una cavigliera a tener fermo un drago tatuato sulla caviglia, ombra di hennè.
L’ultimo giorno ci fermiamo a una fabbrica di tappeti, ci illustrano lavori pregiati, migliaia di nodi, il lavoro paziente di piccole mani, al telaio. I prezzi sono esorbitanti, chiedo conferma nel timore di non aver capito bene la traduzione.
-Ma dai, se vuoi un tappeto lo compri da quel marocchino che ti dicevo, sulla Promenade des Anglais- dice Gracìa.
-E poi sarà più facile da trasportare!- le fa eco Rafaela.
Il mercante di tappeti ci guarda senza capire.
Fuori si fa scuro.
-Pioverà?- domando.
-Inshallà- risponde l’uomo.
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