martedì 22 novembre 2011

Il treno: Lèzard Rouge


A Lea, Gilda, Simone

Cammino senza ombrello, ormai non piove più, avverto sul viso l’umidità e l’aria pulita.

Mi accompagna il rumore del mare, giù sulla scogliera.

Domani partiamo, sto ripassando velocemente cosa mettere in valigia.

A volte hai la sensazione a pelle che le cose stanno per cambiare, che accadrà qualcosa che in qualche modo stravolgerà la tua vita, si muove piano, come un’onda. Impercettibile come la deriva dei continenti. Ma sai che c’è qualcosa chiamato futuro molto vicino. Un volto ancora celato, un biglietto aereo, la presenza di un vento foriero di novità.

Lo sai. Lo avverti.

Ci troviamo in aeroporto. Io come sempre litigo con il peso della valigia in un’equazione di tempo fratto spazio che non dà mai il risultato sperato.

È che non so fare la valigia, mi porto sempre appresso un sacco di cose inutili. Diciamo che nella vita ci si affeziona alle cose inutili al punto di considerarle indispensabili.

Simone sta rivedendo con Lea i passaggi di un’udienza, la vedo preoccupata, anche ora, ora che dovrebbe solo pensare a partire.

Gilda ha raccolto i suoi capelli rossi in una strana acconciatura, che se non fosse frutto del caso sembrerebbe appena uscita da una di quelle riviste patinate che è intenta a sfogliare mentre mastica una gomma.

Certo che siam proprio un gruppo sconclusionato, forse è per questo che siamo amici.

E vorrei vedere il contrario, visto che stiamo per andare in un posto sperduto della Tunisia dove sta lavorando Marco. E che Lea ci ha perso la testa lo sappiamo tutti, però Marco è nostro amico e un capodanno insolito ci può anche stare. È per una buona causa.

Anche se penso alle mie amiche una settimana in beauty farm alle terme.

-Vuoi mettere il fango con la sabbia del deserto?- aveva detto Gilda per convincermi. E lo sapeva che adoravo il deserto.

Gilda poi sarebbe partita qualunque fosse stata la meta, se al check-in ci avessero detto che l’aereo andava nella steppa, non avrebbe battuto ciglio. È splendida. Le invidio questa sua capacità di adattamento.

Mentre con me hanno una pazienza infinita e mi portano pure i vasetti di pesto alla genovese per condire la pasta.

Lea cammina nervosa, parla al telefono con Marco, la linea è disturbata, lei alza il tono della voce e anche a non volere la ascoltiamo.

-No guarda che se è un problema non veniamo più.- dice.

Gilda che fino a quel momento era intenta a leggere alza lo sguardo, interrogativo.

Lea, si trincera dietro le braccia conserte e un singhiozzo in gola.

-Andiamo alle terme?- cerco di stemperare. Ma Lea mi fulmina con lo sguardo.

Decido per un caffè. L’ultimo, italiano e decente prima di partire.

Mi fa compagnia Simone. Lui il caffè lo prende sempre amaro, dice che ci siamo noi a zuccherargli la vita.

Ovviamente partiamo.

Il volo è tranquillo. Dopo due ore atterriamo in Tunisia.

Marco è venuto a prenderci.

Ci dividiamo su due taxi. Marco e Lea. Io, Gilda e Simone.

Mi piace questa terra al limitare del deserto, dal finestrino sfilano le case basse, bianche e squadrate, dalle finestre ovali e le cupole buffe. Sembra uno di quei fondali che si usano per il presepe. Le palme dondolano nel vento e la luna piena rende tutto quasi magico.

-Che bello.- dico.

-Sì, sembra quasi finto.- dice Simone.

La musica alla radio ha un che di ipnotico, appoggio la testa al finestrino e lascio andare i pensieri.

In albergo sistemiamo le nostre cose, Marco ci vuol portare in un locale nella medina.

Il sonno mi passa all’improvviso, siamo catapultati in un caleidoscopio di colori, suoni e profumi di spezie che acquiscono i sensi.

Guardo i tappeti esposti e penso alle migliaia di nodi che li compongono: curioso semplici nodi tengono l’ordito e la trama di quei disegni uniti per sempre.

Guardo Marco e Lea che camminano davanti a me e si tengono per mano. Migliaia di nodi.

Ceniamo in un locale dalle pareti ricoperte di immagini del deserto, una luce ambrata, e il tè a riempire i bicchieri.

Le parole in arabo fatte di acca mute, acca aspirate, rendono ovattato il nostro parlare.

Torniamo in albergo.

Domani prenderemo un treno, Lèzard Rouge. Un salto nel tempo per posti incantati.

Domani finirà un altro anno e mi sento improvvisamente più vecchia.

Ma le cose vanno concluse per aprire la porta a nuovi orizzonti.

Comunque sia andata è finito un altro anno e siamo qui insieme. Un gruppo di amici tenuti legati da migliaia di nodi senza motivo apparente. A formare un disegno.

La mattina dopo ci svegliamo con la pioggia.

-Qui non piove mai.- si giustifica la guida.

-E, ma noi abbiamo la signora della pioggia.- ribatte Lea guardandomi.

Rido, tiro su il cappuccio della giacca e mi incammino.

Simone apre un ombrello e camminiamo insieme, senza dire niente.

Il treno ha il fascino di un non tempo.

Questo, in un modo o nell’altro, è il nostro tempo.

Il tempo di un angolo di cuore, di un viaggio, di un mazzo di basilico sulla finestra di una casa.

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