Parigi-Dakar, fermo posta Hotel de Ville - Antefatto
Edizioni R.E.I.
Cristina Cardone
lacrimediluna3@gmail.com
Parigi - Dakar
Fermo
posta hotel de Ville
ISBN: 978-88-97362-90-6
Copyright: 2012 - Edizioni
R.E.I.
Progetto
grafico: Max Rambaldi
Stampa: Digital Team - Fano
Questo
libro è un’opera di fantasia. Nomi, luoghi e avvenimenti sono da considerarsi
il prodotto dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in modo fittizio.
Qualunque riferimento a persone e cose è pertanto puramente casuale.
Cristina Cardone
Parigi - Dakar
Fermo posta Hotel de Ville
quando attraverserai il deserto fidati
solo della bussola,
ma di nessun altro.
Edizioni R.E.I.
Biglietto lasciato prima di non andare via
di Giorgio Caproni:
“Se non dovessi tornare
sappiate che non sono mai partito
il mio viaggiare è stato tutto un restare qua,
dove non fui mai”
Cerchiamo di esserci, da qualche
parte
Hanno scritto fiumi straripanti di parole sull’amore.
Gli Amanti sono un’altra cosa (al di là dell’immagine dei Tarocchi).
Ci sono storie che si raccontano, così che in molti possano condividere
sospiri ed esperienze, condite da dolore e a volte, raramente, da un po’ di
felicità.
Tratti di vita di persone incontrate, apparentemente così normali da
sfiorare la banalità.
Scrivere di qualcuno o di qualcosa della sua vita che ci ha colpito non
è facile, si rischia di limitarsi ad annotare una serie di eventi, di
sensazioni, smarrendo il senso del viaggio.
Ho percorso tanti chilometri a piedi, in aereo, con il treno.
Viaggi lunghi, in luoghi dimenticati da Dio, dove la povertà ha rubato
le scarpe, ha ferito la pelle, posti dove non c’è campo per i cellulari. Dove
la carta di credito è solo un pezzo di plastica.
Ho conosciuto volti dalla pelle cioccolato, ho ascoltato il cantilenare
dei muezzin, la sera, chiamare dalle moschee che oggi la guerra ha cancellato.
Vive solo nei miei ricordi.
Conservo l’immagine del cielo curvo all’equatore, delle piantagioni di
caffé in Kenya e di quelle di canna da zucchero ai Carabi.
Seppellimmo la luna nei nostri bicchieri di rum.
Le strade dei suk, affollate, l’aroma della melassa bruciata che si
sprigionava dolciastro dai narghilé, centinaia di nodi per i tappeti a legare
per un po’ il mio pensiero.
La polvere da lavare via la sera, rossa come il deserto, percorrendo
gli ultimi 80 Km della Parigi-Dakar.
Bianco e blu il duetto che suonava un sirtaki in Grecia.
Le Piramidi e il mito di Atlantide, i Carabi e la voce di Hemingway.
Le capitali.
Parigi e New York.
Per innamorarsi e per viverci.
Così ho deciso di raccontare una storia che è un viaggio.
Parigi-Dakar
Se alla fine di pericoli e posti dimenticati, di assenza e di comodità,
di paura e solitudine si troverà la via per tornare a casa, forse vorrà dire
che c’è una medicina.
Che cura l’amore.
Un giorno ho domandato se l’amore è una malattia, si guarisce?
Mi hanno risposto che è una lunga convalescenza.
Essere amanti è come una malattia. Se non muori (e d’amore non si
muore) la curi tutta la vita, come la malaria.
La felicità sta nell’equazione di presente moltiplicato per la
bellezza, fratto tempo.
Fratto tempo.
Se si elimina la variabile del processo storico del tempo, passando da
diacronico a sincronico si è immortali.
Il breve attimo della felicità.
E allora che importa se lo si è anche solo per due ore, per il tempo di
un caffè, caffè lungo.
Darsi tutto se stessi. Le paure, le gioie, la rabbia, l’amore. Senza
vincoli. La fedeltà non è un chador. Si può essere fedeli a un’amante?
L’alternativa è niente. Non è tutto.
Allora bisogna eliminare tutto il superfluo. Lasciare tracce così
flebili, come sulla sabbia, che il vento stesso può cancellare... E tornare a
Eden. Un uomo. Una donna. E poi la strada, le miglia della Parigi-Dakar.
Questa strada ideale che attraversa l’Africa del nord, partendo dalla
città affascinante per eccellenza, compie un percorso di vita, che si incontra
con la magia, con il dolore, cercando risposte.
Cercare è già un buon inizio.
Non è detto che si possa anche trovare.
Parigi vive di un’atmosfera quasi evanescente, andata.
E la si riscopre sempre diversa, a ogni ritorno.
Come la moda.
E’ l’alcova perfetta per gli Amanti.
Forse anche per quelli dei Tarocchi.
Il credo di Thierry Sabine, padre della Parigi
Dakar:
"Una sfida per quanti
partecipano. Un sogno per quanti stanno a guardare".
L'Africa era ed è un continente dai mille contrasti, un luogo
fantastico su cui molte persone hanno sognato e sogneranno ancora,
attraversandolo, anche solo sulle pagine di un libro.
Per una promessa fatta
Jésus tombe la 3eme fois
Antefatto
Chiodi
di garofano
“Le cose si ottengono quando non si desiderano più”
Cesare Pavese
Il rumore del mattino camminava
sui marciapiedi, con tacchi alti e passi decisi, l’aroma del caffè di
Starbacks, portato a spasso insieme al Times le arrivava a onde trasparenti,
pesanti come l’assenza.
Viola sbadigliò, aveva dormito
poche ore, in aereo, e ora subiva gli effetti del jet-lag. E un vago senso di
nausea.
Ripensò al volo di quella notte,
al primo viaggio con “lui” o forse l’ultimo, anche se in un libro, anche se
dentro di lei.
Appoggiò una mano sulla pancia.
Era partita da Zurigo, facendo quello che lui le aveva chiesto.
Accarezzava con l’indice il dorso
delle mani in copertina: tenevano una sigaretta a metà, appoggiate su un
velluto rosso, stropicciato.
Avevano girato il mondo, in senso
inverso, in tempi diversi, scrivendo messaggi su laconiche cartoline, le labbra
sui francobolli.
Certi baci di colla e saliva.
Quello curiosamente era il primo
viaggio insieme, divisi inesorabilmente dalla vita, lui ora era dentro di lei.
Prese i biglietti alla
macchinetta elettronica, faceva caldo a Grand Central Station, scese la scala
mobile e si fermò in direzione down town.
C’era un miscuglio di razze e
volti, vuoti sociali da condividere, ventiquattrore, telefoni che squillavano,
inchiostro di giornale a macchiare le giacche chiare, completi gessati, jeans a
vita bassa, ombelichi scoperti.
Poi un rumore lontano, la massa
d’aria che si sposta, scompiglia i capelli, arriva il lungo verme della grande
Mela apre le sue porte e dietro ai vetri un po’opachi riparte.
Le stazioni lampeggiavano con la
lucina rossa.
Scese a Battery Park.
Respirò l’aria fresca che
arrivava dall’oceano mentre si schermava il sole con una mano raccogliendo
nello sguardo Liberty Island e la sua statua.
Si avviò verso Morris Street mentre
gli ambulanti spiegavano le magliette con la scritta I LOVE NY.
Philippe stava passeggiando
davanti a Trinity Church, alzando lo sguardo dal suo orologio d’oro la vide:
scarpe e borsa italiana, così come gli occhiali, solo una fascia nei capelli a
ricordare un vezzo americano, come certe istantanee in bianco e nero di Jackye O.
-Ben arrivata- la salutò
abbracciandola. E sfiorandole le guance con un paio di baci.
Viola sorrise, ogni tanto
dimenticava che Philippe era francese e lo era anche il suo modo di fare,
nonostante vivesse in America da anni.
Lei lo prese sottobraccio e si
incamminarono verso il suo ufficio.
Tra gli ultimi piani di un
imponente grattacielo, osservò lei guardando il numero salire sul display
dell’ascensore.
Tappezzerie semplici, moquettes
chiare, divani comodi e ampie vetrate dove il rumore restava fuori.
-Bene, allora vogliamo parlare
del tuo libro?- iniziò con finto disinteresse Philippe prendendo una sigaretta
dal pacchetto per poi posarla sulla scrivania.
Era vietato fumare, ma lui non
riusciva a smettere.
-Vedo che non perdi tempo, bene
così avrò qualche ora per un giro a Manatthan- disse Viola.
-Curioso, non pensavo fossi una
patita della Quinta strada che con il dollaro in perdita pensa di fare buoni
affari-
-No. Infatti. Preferisco la Terza
e una passeggiata sull’East River-
-Ho letto il manoscritto, se vuoi
che lo pubblichi l’Olympia Press facciamo a metà con i diritti d’autore-
-Stai scherzando?-
-È un giro d’affari, io sono il
socio di maggioranza, e il nipote di Pierre, caro amico dell’editore
dell’Olympia tu vuoi quella casa editrice ed io sono il mezzo per raggiungerla,
allora dato che non verresti in crociera con me alle Bahamas… oh non fare
quella faccia, nessuno dà niente per niente-
-Vedo che negli anni non sei
cambiato affatto, ma se sono qua è perché tu mi devi qualcosa-
Viola detestava scendere a
compromessi.
Avevano lavorato insieme, avevano
diviso la gioia, barattato la felicità con il successo, moltiplicato gli
inganni.
Lui le aveva rubato l’articolo,
ma in fondo non era rubare, stavano insieme, l’aveva preso in prestito, o forse
era geloso di quel pilota, era passato tanto tempo, lei non poteva ancora
covare rancore. O forse sì.
Erano giornalisti e della specie
peggiore, d’assalto.
Si sarebbero sbranati come leoni.
Meglio non rischiare.
-Voglio il venti per cento sui
diritti- disse calma.
-Il dieci- ribattè lui passandosi
nervosamente una mano nei capelli.
-Il quindici, e voglio essere
presente per i lavori di traduzione-
-Ma tu stai scherzando? In questo
modo offendi tutto il team, cosa credi che abbiamo degli sbarbatelli freschi di
laurea? E del quindici per cento non posso prometterti niente.-
-Scriverai tu una lettera per
Monsieur Pierre?-
-Sì invierò una mail. Quando
pensi di essere a Parigi?-
-Al più tardi venerdì.-
Quando uscì l’aria era cambiata e
una pioggia sottile aveva fatto fiorire gli ombrelli.
Era stata a New York per un
articolo sulla nuova catena di Eataly, che avrebbe aperto una sede vicino al
Flat-Iron, piccoli tesori della cucina italiana nel cuore di Manatthan, per gli
immigrati nostalgici e per gli innamorati della cucina mediterranea.
Il tempo era scivolato via veloce
doveva rientrare in Europa.
L’oceano era buio sotto di lei
quando appoggiò la testa al finestrino dell’aereo vedendo la sua immagine
riflessa: per la prima volta si vide vecchia.
Dopo otto ore sorvolava la
Francia in atterraggio.
La Senna quel giorno era vestita
di sole, i venti di caduta avevano pulito il cielo trattenendo lontani i cirri
altissimi.
Da l’Île si vedeva il bronzeo intreccio
della Tour Eiffel.
Socchiuse gli occhi quasi a
scorrere una guida per turisti, vide una bottega all’angolo, due secoli prima
Claude Audran disegnava arazzi per i Savoia.
Due o tre secoli fa.
Viola portava sulle lenti scure
degli occhiali il riverbero accecante del sole, aveva il viso arrossato, la
gonna corta a scoprire le gambe magre.
Il vecchio rabbino inglese
restava ad appassire sulle panchine dei Jardins
du Luxembourg, all’uscita della metropolitana e dio era avanzo di rosari pochi metri più in là.
Nessun altare su cui pregare.
Monsieur Pierre le andò incontro
sorridendo.
Camminarono a lungo per i viali
pieni di gente.
Poi sedettero a un bistrot, lui
ordinò per lei, vino italiano.
-Viola, tu sbagliasti a lasciare
il giornale, per cosa poi? Proteggere Philippe? Per quell’articolo sul pilota
della Parigi Dakar?-
Forse lui sapeva.
-No, per proteggere me-
Pierre sorrise.
-Dammi il manoscritto, lo
leggerò, ti farò le dovute critiche. E non posso prometterti il quindici per
cento ma se vorrai, qui a Parigi collaborerai con il mio staff per la
traduzione. Poi parlerò con l’editore di Olympia, è un mio vecchio amico-
Viola tirò fuori dalla borsa la
bozza del libro.
Pierre osservò la copertina.
-Una bella fotografia. Quante
cose possono fare due mani-
-Anche un domani- disse lei
inseguendo un pensiero.
Quella sera faceva caldo, anche
se la giornata era ormai un avanzo d’autunno.
Pierre prese la pipa e andò a
sedersi sul terrazzo aspirando l’odore di tabacco francese e gelsomini di
Grasse che sua moglie Lora coltivava con passione, insieme ad altri fiori.
Prese il libro di Viola, osservò ancora quelle mani, poi iniziò a leggere.
Una pagina dopo l’altra.
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