venerdì 8 giugno 2007

El pianista del Café Numancia







Tormentati i tasti

sotto le sue mani,

nel gioco bianco e nero,

in accordo di do, indomito e ribelle,

di lei, il corpo disegnato ad ogni ritorno perduto di nota,

avvolta di fumo, di bollicine di vino sulle labbra,

Café Numancia, da dividere in scalzi mattini,

rose bianche sui tavoli

a chiedere perdono

e

candele in ginocchio.

Mezzanotte

tormentate le dita di donna

a intrecciare le sue,

senza accordo,

ultima nota del suoi vent’anni,

ribelli,

maldestri,

colpevoli.

Rose rosse,

a camminare funambolo senza pensieri,

che l’azzardo è ardito,

cadendo in ricordi di lettere sgualcite a ripercorrere l’asola vuota degli anni,

latta da prendere a calci che la vita

ha sempre in mano il capo a cui appendere denti come fili di perle,

che a sorridere non servono più.

Corsa in metropolitana e ad ogni stazione seguire sullo schermo quella storia spezzata,

immaginando i segmenti perduti per sempre

e gondole spaiate, che le note scivolano dispari,

e chi resta dietro,

è solo.

Velette bianche e guanti a nascondere il tremito delle mani.,

e le gardenie non san parlare, sul doppio petto blu.

Sola, una nota appesa al di là di lui,

si bemolle,

quando la vita gli ha opposto un no,

che lui non ha saputo suonare,

ballata per pianoforte incompiuta.

E’ rimasto così, nota nell’aria di un pentagramma dispari.

Chi rimane dietro, non ha mani da stringere.

L’amore in spartiti

del pianista del Café Numancia

(Dal quaderno di Pablo Y Ruiz)

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