The tree of life
Di Terrence Malick. Con Brad Pitt e Sean Penn
Passano alcune musiche,
ma quando passano la terra tremerà,
sembrano esplosioni inutili,
ma in certi cuori qualche cosa resterà,
non si sa come si creano,
costellazioni di galassie e di energia,
giocano a dadi gli uomini,
resta sul tavolo un avanzo di magia. Jovanotti
Al di là della storia che vuole raccontare questo film colpisce, nel bene e nel male, su quello che ha da dire, sui perché della vita, sulle domande che restano senza risposte come conchiglie sulla sabbia dopo una mareggiata. Ma che appoggiate all’orecchio conservano la memoria del mare.
I silenzi inquietanti dove il susseguirsi di immagini straordinarie di una natura lussureggiante e splendida, da sfiorare la perfezione ti tengono con il fiato sospeso in attesa di una parola, di una risposta che sia la chiave a tutto ciò.
Perfetti gli interni delle case, da far invidia ad una rivista patinata di case e arredamento. Edifici di vetro e cemento, avveniristici e perfetti.
In questa apparente perfezione il caos: 15 minuti di immagini e musica sul big-bang, e l’evoluzione della vita sul nostro pianeta.
Personalmente avrei evitato i dinosauri, una divagazione che si è concesso il regista.
I rami di un albero che abbracciano il cielo dove Dio è troppo lontano, per intervenire nel dolore dell’uomo, qualcosa di pascoliana memoria, e per dirla come Leopardi “il perenne domandar dell’esser nostro”.
La storia in sé è semplice: una famiglia che vive nel Midwest, la madre amica, confidente e complice, è l’amore misericordioso e un padre padrone che per anni aspetta l’occasione giusta, mentre passa la vita.
Un figlio che muore, e il suo dramma accompagna tutte le domande e il dolore fino al Requiem aeternam cantato su immagini che non recano consolazione, in eco d’amen.
Il mistero della vita e quello della morte camminano così vicini da sfiorarsi e confondersi che non sai più in quale dimensione ti trovi.
Uno spiraglio di luce. Una porta che oltrepassata è l’incontro con chi non c’è più.
Ama dice una voce fuori campo quasi a voler ricordare perché siamo qui.
Palma d’oro come miglior film al festival di Cannes, indubbiamente ne plaudo le immagini, le musiche, le parole, quelle dette e non dette, i silenzi attoniti, i silenzi di attesa, e, forse, nessuna risposta.
Personalmente avrei sforbiciato qua e là, un po’ lento, tuttavia Malick ci abituati a questo suo personale modo di raccontarci la realtà. Fotografandola. Ottima interpretazione di Sean Penn, soprattutto per quello che NON dice, e ci lascia immaginare.
Da vedere. Quanto meno per gli interrogativi che ti fa scaturire dopo, ancora non so se mi è piaciuto o no, ancora mi lavora dentro i pensieri, la sottile linea di fuga del mio orizzonte.
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