mercoledì 23 maggio 2007

Pittura naif, il cuore di Santo Domingo




"La nostra proposta artistica non pretende cambiare un popolo, bensì insieme ad esso poter essere partecipi dei suoi costumi, pensieri, realtà (...). Noi vogliamo dipingere in modo caraibico. Non sono nostri i colori grigi della Francia, nè i gialli cotti della vecchia Castiglia, nè tanto meno i rossi vellutati veneziani (...). In noi deve esserci la pittura del Caribe, dobbiamo essere i pittori della luce e del colore, perchè tutte le isole dei Caraibi sono baciate dal sole come nessun altro posto al mondo (...). Lo spazio deve essere immenso, come il celeste e l'azzurro oltremare, brillante come il giallo del sole lo è nella percezione psicologica. Deve essere uno spazio infinito come l'orizzonte, però vicino alla nostra realtà quotidiana (...). La nostra arte sarà posseduta dal movimento, segno di liberazione, di ricerca, di progressione".

Dal manifesto "Siete" 2003-2004
(Manifesto per una nuova arte del Caribe domenicano)

Dopo dieci ore di aereo in cui sono appesa alle nuvole e vedo sotto solo mare resto affascinata dai colori del Caribe, mi sembra di entrare in una cartolina dai toni che scivolano tra il celeste e il turchese, sposati a sabbie bianchissime, palme a tuffarsi in mare, cucina dal sapore creolo, magia, per l’altra metà dell’isola, Haiti, dove questi colori li fanno vivere nei quadri naif.

L’umidità è l’abbraccio soffocante che appiccica addosso i vestiti dopo aver lasciato la valigia in albergo, il Mar dei Carabi è l’altalena umida di onde a ripescarsi sulla riva, l’eco in una conchiglia, che conservo da molti anni su un tavolino, il filo diretto con il mare.

E dal mare che vivo l’esperienza più affascinante, mentre con una piccola barca mi dirigo alla Saona tre delfini si affiancano a pelo d’acqua, si rincorrono, lanciando richiami simili a dolci colpi di nacchere.

Sbucano dall’acqua e vi ricadono in argentee piroette sotto il sole perpendicolare di mezzogiorno.

Non si lasciano avvicinare, ma nuotano a una ventina di metri da noi che tendiamo le braccia tra le onde, poi si allontanano, veloci, lasciando appena la scia increspata del mare.

Santo Domingo respira al suo interno tra campi di tabacco e canna da zucchero, cartoline da sorseggiare al tramonto davanti alle guarapere, sono macchine costituite da piccole presse elettriche con rulli striati da un canale che raccoglie il Guarapo, succo colato dalla canna da zucchero, al quale si aggiunge un po’ di ghiaccio per raffreddarlo.

La musica merengue accende il sapore della sera, con il suo carico passionale ed erotico a La Romana, tra ristorantini, caffé e gli atelier degli artisti, splendida la vista sul Rìo Chavòn che solca la vegetazione fittissima.

Qui conosco alcuni artisti che dipingono la vita naif di questo quarto di mondo.

Si trovano ovunque, nelle camere d’albergo, nei negozi di souvenir e nelle improvvisate gallerie all’aperto, le spiagge.

Sono i coloratissimi quadri dipinti da artisti haitiani e domenicani che riproducono angoli di vita di questa isola sonnolente di aria al rum.

I capelli raccolti in piccole treccine, scalza, con un pareo legato alla vita ci provo anche io, traccio la linea con un gesso, morbidi i contorni e delicati i colori che sposto sulla tela, azul è il colore che amo e rubo al cielo per fonderlo con il mare.

I turisti passano, sento la Babele di lingue farsi compagna discreta, mentre dietro la mia tela racconto la mia vita, il mio viaggiare naif, Antoine fuma un sigaro e mi racconta di angoli bui di magia arrivata dall’Africa che copre l’altra metà dell’isola, Haiti, inaccessibile, violenta, Voodoo di antichi riti consumati nelle lunghe notti, mani scure, magia nera.

Di quei giorni sotto il tropico del Cancro ricordo tutto e niente, resta un quadro alla parete, di barche arenate, capanni sulla spiaggia, colori pastello.

Naif, un po’ come i miei ricordi. Cartoline. Se trovo i francobolli per spedirle.

Cris, Maggio 1999

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