Recensione: Il peso del Ciao, Francesco Forlani
“Perché il
giornalista dice a lei che è troppo trendy per essere un intellettuale”
Ci
sono cose che fanno di parte di noi, o del nostro vicino passato. Passato
prossimo.
E
hanno un peso, o meglio il loro peso è leggero.
Il
Ciao è uno di questi.
Piccolo
cammeo nell’album dei ricordi di giorni estivi e vento tra i capelli.
Il
suo peso leggero, ossimoro di una metafora della vita, così queste pagine di
Francesco Forlani.
P-O-E-S-I-A
Di
quando la poesia è diventata fenomeno per pochi, gioco di nicchia, ma unico
modo per fotografare la vita, per dipingerla di un impressionismo semplice,
specchio dell’anima, vecchia busta ingiallita, testamento del cuore, intarsiata
di francesismi, come ciliegie sottospirito, da assaporare nelle sere d’inverno.
“E le caviglie
fini per il volo ed un distacco quel che mi tiene a terra”
Così,
come su un lenzuolo di sanscrito, un sudario senza un Cristo, ci appare la
parola, il verso, quella piega della pagina per tenerne il segno, la matita per
sottolineare e frasi da appuntarsi sulla lavagna in cucina, tra la lista della
spesa e magneti colorati. Souvenir, avanzi di viaggio.
“Che il tempo è
esperienza e d’esperienza il tempo”
E
così tutto scivola via leggero, senza tempo, come quel ricordo, come il peso
del Ciao, questo Robespierre di provincia su trains de vie, una donna che agita
un fazzoletto rosso, su e giù per le pagine che sono tratte di treni, dove
l’autore coglie frammenti di vita.
Poesie
dedicate al passare, alle gambe di donne che ispirano pensiero semplice, muto,
come davanti a un quadro.
Poesia sulle
gambe del tavolo di Emanuela Cerbè
Francesco
tratteggia parole, ogni cosa è fatta per lasciare un segno, così due labbra su
una tazzina di caffè sono virgole rosse, quel che avanza di noi. Dopo.
E
corre via il treno di poesia, “c’est la
vie c’est la vie anche quando la vita non consola”.
Le
parole si fanno preghiera, quel rosario da sgranare, fatto di non detti,di
stazioni recitate come una via crucis, restare appesa al collo, come un’icona
votiva immolata al ricordo, tra le gambe e il cielo.
Stazione
Termini: come suggerisce Forlani, ti immagini che qualcosa debba finire, così
resti lì, con le valigie che sembrano scialuppe, un uomo che ti vende Malboro
di contrabbando, e spingi il Ciao, ormai senza benzina, su per la salita della
vita, cercando parole.
“E tutta la vita
sono stato alla ricerca di una lingua in grado di dire l’anima.
E intanto quella
lingua diceva ed io
solo da quella
mi lasciavo dire.”
Leggetelo.
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