Recensione di Il Minotauro, Benjamin Tammuz
"Thea
questa lettera non è firmata e temo che non ci incontreremo mai"
Un
agente segreto israeliano un giorno, il giorno del suo 41° compleanno incontra
in un autobus, per caso, la donna della sua vita. La riconosce: è la donna che
ha atteso da sempre. Qui inizia una spy story intrigante, una delle storie
d’amore più belle scritte da un uomo.
Nel
senso che è strano che un uomo scriva d’amore con una sensibilità e un
romanticismo, una disperazione insoliti.
Può
un amore basarsi solo su delle lettere, senza che i due si incontrino? È amore?
O è la trasposizione che ne fanno i due protagonisti? E siamo ancora qui, nel
2013 a parlare d’amore.
L’amore
quel sentimento che porta i grandi classici come Boccaccio o Leopardi a
dedicare fiumi di parole a donne angelo, donne ideali e idealizzate, che
studenti poco convinti dovranno studiare, negli anni, accettare, capire, magari
non condividere. Già, eppure questo romanzo ha la capacità di farci sognare.
Quest’uomo che per vent’anni manderà lettere e Thea che inizialmente potrà solo
leggerle, immaginare chi le scrive, e rispondere, mettendo le sue missive in
una scatola, mai spedite. Solo più avanti lui le concederà un fermo posta.
Lui
sa tutto di lei, la osserva, le scrive, la pedina, al limite dello stalking, ma
non accetterà mai di incontrarla.
«nessuno vede le
cose belle che tu vedi in me. Mi abitui a qualcosa che nessuno mi darà mai. Io
voglio vederti»
Implora
lei. È sicuramente degna di un’analisi sociologica che fotografa la solitudine
ancestrale che caratterizza il nostro tempo. Un tempo fatto di rumore, di
cellulari per stare sempre connessi, di persone accanto che non si vedono, non
si parlano, e qui si inserisce una variabile, Thea diviene dipendente da quelle
lettere, le attende, si aggrappa, le aprono una vita parallela in una realtà
diversa dal quotidiano che sicuramente non è così poetico, rassicurante e
idilliaco come un mondo fatto di parole.
«una
figura fatta di parole e tempo è indistruttibile»
Nessuna realtà può competere con un sogno ad occhi
aperti.
«non dubito del
tuo amore, ma questo amore è al di sopra delle mie forze. Sono un po’ come la
tua vedova! Tu non hai il diritto di morire e non hai il diritto di tacere.
Dimmi cosa devo fare».
«dammi un segno…
Dammi un segno, mio morto, dammi un segno. Non puoi continuare a trattarmi
così».
«ma gli agenti
segreti, come Dio, mandano segni solo ai loro confidenti. Sono molto crudeli e
anche infelici, a volte. Comunque, tacciono».
Niente è scontato, nemmeno il finale.
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