martedì 30 ottobre 2007

Seven miles bridge, on the road from Key West








Le palme si tuffavano con me nell’oceano verde-azzurro in quell’ora calda del noon che zittiva anche le cicale.

L’oceano, mio silenzioso amico nell’eco di una conchiglia dimenticata sulla battigia, del gioco presto abbandonato di un bambino dalla pelle color cioccolato e un castello di sabbia, eroso dalle onde, con l’alta marea.

Un pezzo dopo l’altro.

I primi anni cinquanta, dei grandi viaggi, le frontiere, i profughi, i safari di qua e di là del mare.

Le Everglades si estendevano per chilometri, selvagge, paludose, fatte solo di acqua e specie vegetali. A tratti la scia increspata sui canali.

Alligatori.

Tavolozze di farfalle e il canto dei pappagalli, un parlare sommesso.

Landa desolata.

Deserto d’acqua.

Ossimoro

L’auto al tramonto pescava quel che restava di aironi cinerini e il riflesso arancio sull’acqua.

Lo speaker alla radio era "Perdito en un barco".



La pioggia arrivava improvvisa, il parabrezza alzava onde d’acqua e i finestrini laterali erano feriti da lunghe gocce di pioggia.

L’asfalto assorbiva la luce dei fari delle auto nell’ora più chiara prima del tramonto che affogava nelle paludi delle Everglades.

Thomas, la loro guida di colore, sorrideva tenendo in mano lo scatto di una Polaroid.

La sua foto. L’unica se si escludeva quella sui documenti.

Guardava la sua fotografia e l’avrebbe guardata a lungo, finchè non si sarebbe sgualcita. Tanti anni dopo. Su un divano sfondato, una birra a metà, cartoni vuoti, avanzi di cibo cinese.

Solo il riflesso dello specchio in bagno, al fondo del lungo corridoio, gli restituiva un’immagine distorta, vecchia.

La foto, se pur sbiadita era rimasta giovane.

Guardava la TV, distrattamente, un “Go” da Houston e Cape Canaveral segnava un passo sulla luna.

La fine degli anni sessanta.

Fuori pioveva.

La pioggia qui nel sud della Florida, sulla strada per Key West, arriva spesso all’improvviso.

E la bandiera americana restava afflosciata inzuppata d’acqua.

E stelle stropicciate.

Ma loro, adesso, avevano la luna.





(Key West Luglio 2007)

venerdì 26 ottobre 2007

Ko-hi-noor, il Mare di Aral


Nel 1960 il mare di Aral era ancora uno dei più grandi mari interni del mondo.

Oggi la superficie del mare è ridotta, l’ecosistema è gravemente perturbato.

La popolazione soffre di malattie e fame.

A Muinaq le navi giacciono sulla sabbia, il vento porta alla bocca il gusto del sale.

Aspetto.

Tardi, sulla caduta del cielo all’orizzonte, ecco la tua ombra.

La mia mano a piagarsi sulla corteccia ruvida del tuo difenderti.

Le tue dita a ferirsi tra i cristalli delle mie lacrime,

il mio non arrendermi.

E’ nuvoloso

il tuo parlare oggi,

arresa piango.

In temporale

gli occhi, le lacrime

sono ko-hi-noor.

Ruga di sale a vestire la pelle.

Sono il mare di Aral, e porto in secca il tuo passare.

Tornerai marea e scopriremo nuovi diamanti,

di mattini di pioggia.

Lacrime, come kohinoor.

Forse in ginocchio, davanti a tutti i nostri ieri,

rotolati su qualcosa come il perdono,

che lascia in cenere questo passare.

La notte.

L’amore, mai per sempre

e

forse senza domani,

di un mare esasperato e ridotto a stagno di lacrime e sale.

Sei il mare di Aral,

quel deserto di navi in secca,

sull’ultima onda dell’incompleta variabilità

del tuo negarti,

un pezzo di noi tatuato sulle labbra,

sbavate di parole non dette.

Di due mani, un domani,

Aral ha solo ieri e lacrime di sale.

Ko-hi-noor,

hai

pioggia negli occhi.





sabato 6 ottobre 2007

La strega che abitava all'Angst









"Quattro zampe di topo, una coda di serpente, un dente di ragno, quando la luna rotola a oriente e le nubi intrecciano le loro trame con la notte strane cose cominciano ad accadere…"

Queste parole, figlie di tradizione popolare risuonavano nelle mie orecchie, sin da bambina, quando tra le ragnatele polverose della soffitta andavo a caccia di streghe.
Un vecchio baule era l'inizio di un sogno, nessuno a casa ricordava di chi era, ma si sapeva che aveva fatto un lungo viaggio, e prima della guerra si era fermato all'Angst, uno dei più grandi hotel italiani che scrisse la sua storia tra il IX e il XX secolo, nella cittadina di Bordighera.
Dentro non c'erano che vecchi ritagli di giornale, abiti passati di moda e frammenti di uno specchio che le mie mani bambine cautamente evitavano.
Non volevano che mi arrampicassi da sola sulla vecchia scala della soffitta, ormai in pessimo stato, erosa dalle tarme, ma nei pomeriggi d'estate quando le ombre si disegnavano sul cortile e tutti riposavano, io in silenzio salivo lassù, e stavo ore a osservare quel baule, come se mi stesse parlando.
Un giorno una vecchia zia che viveva con noi scoprì il mio segreto e mi raccontò quella che per me è sempre stata a metà tra una favola e una realtà taciuta, un segreto da non rivelare.
Zia Ninin, era minuta, stava seduta accanto al fuoco, con lo sguardo perso, i capelli raccolti e un golfino rosso, il colore dei ricordi, se chiudo gli occhi rivedo ogni ruga che disegnava le sue mani, piccole strade e sentieri familiari quando accarezzava la mia guancia.
La sua voce cominciava a raccontare e strani rumori provenivano dalla soffitta e si mescolavano con quelli della sua sedia a dondolo, lei parlava…parlava…

Angst significa "paura", e dare questo nome a un hotel nel 1800 fu una sfida al destino.
Adolf Angst arrivò a Bordighera con un sogno: costruire il più imponente hotel d'Europa, ci riuscì, ma luci e ombre accarezzarono il suo progetto.
Sulla terra dove voleva erigere l'hotel anni prima abitava una donna, un personaggio curioso, una strega dal nome Ghella.
Viveva in una piccola capanna, circondata da alberi di sorbo, sterpi, rovi coprivano il sentiero e gatti neri si affacciavano dalle piccole finestre, fruscio di serpi nell'erba, voci sinistre la notte.
Molti cercarono di convincerla a vendergli quel terreno, ma Ghella era una strega, il tempo e il denaro non avevano valore per lei, che rifiutò.
Una notte qualcuno si avvicinò alla capanna, dandogli fuoco, il corpo della strega non fu mai ritrovato, ma tra le fumanti rovine rimase uno specchio, grande, antico.
Adolf lo trovò, ricoperto di edera e decise di portarlo con sé, avrebbe dovuto troneggiare nella hall dell'hotel, invano cercarono di fargli capire che sfidare nuovamente il destino sarebbe stato pericoloso.
Una notte senza luna l'uomo vide una figura scura aggirarsi nella stanza e udì una voce: "L'Angst è mio e me lo riprenderò, pezzo dopo pezzo, e la paura abiterà con te."
Lo specchio sarebbe stata la porta del mondo dell'oscurità dal quale Ghella sarebbe uscita la notte per poi rientrare prima che l'alba avesse spento tutte le stelle.
Adolf non vide mai Ghella, ma ogni giorno trovava accanto allo specchio della sua stanza fragili capelli d'argento, segno che la strega passava indisturbata tra le stanze attraverso gli specchi.
L'Angst in breve tempo divenne uno dei più prestigiosi hotel d'elite per la bella Europa del tempo.
Nelle notti gli ospiti cominciarono a sentire rumori sinistri, porte che si chiudevano all'improvviso, quadri che si animavano, fantasmi e rumore di catene gettarono sull'Angst un alone di mistero e di paura.
Ogni sera quando Adolf andava verso la sua stanza udiva passi alle spalle e nonostante si voltasse spesso non aveva mai incontrato nessuno.
L'alone di mistero che aleggiava intorno all'hotel aumentò il numero dei visitatori, anziché essere un deterrente.
Una sera di luna piena la strega decise di partecipare alla festa che si teneva nel grande salone, arrivò evanescente e leggera, al suo passaggio gli specchi della sala si scurirono e alcune candele si spensero, qualcuno gridò: "Strega", il grande lampadario cominciò ad oscillare, i muri si sgretolarono, una violenta scossa di terremoto devastò l'hotel, e si levò una voce: "L'Angst è mio e me lo riprenderò."
Era il 1887, i danni furono gravissimi, ma Ghella commise un errore, quando arrivò davanti allo specchio e la sua superficie si fece liquida per permetterle il passaggio era già l'alba e Angst alle sue spalle la vide e capì.
Ricominciarono i lavori per permettere all'hotel di tornare agli antichi splendori, le centottanta stanze in breve tempo risplendevano di nuova luce.

Passò la storia per quelle stanze, nomi illustri e patti segreti si intrecciarono.

La paura abitava ancora lì, gli ospiti che si riflettevano in quegli specchi erano colpiti da una maledizione, che nel tempo avrebbe eroso le loro vite, come tarli in sinuosi.
Passi…ancora passi e porte che si chiudevano e non permettevano più di uscire, grida che nessuno sentiva e le notti sempre più lunghe e nere.

Angst, significa "paura".

Adolf attese in silenzio, una notte che Ghella uscisse dallo specchio e poi fece velare tutte le superfici riflettenti delle stanze, nessuna porta per la strega per tornare indietro.
Quella notte fantasmi chiari si levarono sul giardino, e lungo le scale, passi, voci, bisbigli, sino all'alba.
Quando la luna percorso il suo cammino, si curvava sul cielo, Ghella arrivò allo specchio, ma non potè entrare, corse sulle scale, ma ogni specchio era velato.
Scappò gridando nelle cucine, seguita dai fantasmi che con la luce si sciolsero sui marmi, creando un chiaroscuro di macchie e colori.
Quando il cielo incendiò l'oriente, la luce invase gli scantinati buii e della strega rimase solo un mucchio di stacci scuri.
Tutti gli specchi si frantumarono. Un vecchio baule fu riempito di ricordi.
Ma Adolf non aveva vinto, quello fu l'inizio della fine.
Nel 1917 l'hotel divenne un ospedale militare, fu pesantemente colpito dalle bombe.
Adolf Angst morì nel 1924.
L'hotel non si riprese, anzi cominciò un lento declino, furono bruciati e trafugati marmi, infissi, arredi, lampadari.
Gli sterpi e i rovi invasero il giardino, l'imponente scritta sulla facciata cadde.
Oggi è un immenso edificio in rovina, dove la notte danzano fantasmi all'ombra della luna.

Io so che Ghella è chiusa in quel vecchio baule e si agita per tornare, ferendosi sulle schegge di specchi, riflesso del passato, ma io non so la strada per riportarla a casa.
Ancora oggi la notte ascolto i rumori sinistri e familiari dalla soffitta, chissà che non si sia abituata alla nuova casa…

"Quattro zampe di topo, una coda di serpente, un dente di ragno, quando la luna rotola a oriente e le nubi intrecciano le loro trame con la notte strane cose cominciano ad accadere…"



(Questo racconto fa parte della raccolta Samhain 2004
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