venerdì 30 marzo 2012

Scacco matto

Ricordi la nostra scacchiera? Comprata una domenica mattina al mercato di Portobello, con gli scacchi in legno di cedro del Libano.

Aveva un sapore esotico, e sicuramente aveva viaggiato, come noi. Ci piaceva immaginare chi l’avesse portata lì e perché poi fosse finita su una bancarella colorata.

Giocare a scacchi aiuta a pensare, e mi piaceva guardarti mentre ti concentravi nella tua metà di campo da gioco.

Parlavamo, per ore. Tra una mossa e l’altra. È lì che mi hai raccontato la tua vita, e io per ascoltarla, non ti ho detto della mia.

Partite lunghissime, fatte anche in assenza di uno di noi, muovevamo le pedine per un gioco di attese. A turno passavamo vicino e spostavamo gli scacchi.

Gli anni sono passati tra le dita come grani consumati di rosario appresso alla processione della Vergine, il venerdì prima di Pasqua.

Lancette di un orologio a ritagliare un quarto di vita perfetto, su un passato prossimo.

Quasi luna piena di Marzo.

Oggi è in stallo anche la polvere, su quella scacchiera, però io ho messo la regina bianca vicino all’alfiere, di fronte al re nero. Ora tocca a te muovere.

domenica 25 marzo 2012

Nevica e ho le prove


Franco Arminio

Nevica e ho le prove

“Quasi mezzo secolo in poche centinaia di metri, esposto come un lenzuolo abbandonato allo stesso vento, alla stessa neve. Quella che viene ogni tanto, sempre da un lato, sempre da oriente, una neve che non cade mai calma, mai lenta, la neve che non si posa sui tetti ma si incolla alle finestre.

Sono rimasto per credere alle nuvole, alla luce, al grano che sale.”

Questo è un libro breve, condensato di poesia e piccoli cammei, ma che va letto adagio, una pagina per volta, per gustare anche l’amaro che questo paese della cicuta porta con sé.

“Vivo su una lama” ha scritto Franco qualche tempo fa su Facebook.

Già, vivere su una linea tesa fatta di orizzonti, di natura che cambia e ogni colore ne annuncia una stagione, i campi brulli e arati, il verde tenero del grano e i paesaggi aspri e assolati, avanzi di paglia, vivere perennemente in bilico, sotto la sferza di quel vento forte che annunciano i cartelli autostradali, tra Lacedonia e Candela.

Cerca anime nobili e antiche l’autore, setacciando i giorni con quel poco che possono dare, tra i vivi e le loro vicissitudini, e i morti. Sempre meno vivi.

Autismo corale che attraversa la nuova scienza delle parole, paesologia.

Questo amore per un lembo di terra che si fa fatica a trovare sulle cartine geografiche, nella sua Irpinia d’oriente.

Là dove ha scelto di restare, perché come ha detto in una recente presentazione di Terracarne, “La mia partita è a Bisaccia”

Franco ha voce più forte di quel vento e allora le parole non si disperdono, si fanno poesia e si fissano sulla carta. Per restare.

“Io mi preferisco quando scrivo. Quando esco dal rigo mi sento smarrito”

sabato 17 marzo 2012

A sud di ovest

Le colline addolcivano il paesaggio, smorzando gli spigoli dei cipressi e delle parole non dette, dette troppe volte, avanzi di frasi nelle tasche, come vecchi scontrini all’uscita di un caffè.

I fiori dei peschi e i mazzi di ginestra accompagnavano il sentiero di terra sterrata, fatta di polvere di gesso, come i pensieri di creta, mutevoli nelle tue mani.

Attraversavo la campagna, come altre volte, ogni volta per tornare. E allora c’erano giorni fatti di pioggia negli ombrelli rovesciati, e foglie d’autunno, e giorni chiari e corti bianchi di neve. Giorni di grano e di notti lunghe con un papavero al posto del cuore.

La tua casa è là, appoggiata su una collina e da quella finestra grande ogni volta che mi affaccio mi stupisco di non trovare il mare sull’orizzonte. Questo mio pensiero ti fa sempre ridere.

Questo posto è come un soffione, sembra che il vento lo possa dissolvere e frangere in mille particelle, come un caleidoscopio di luci e ombre dove riposare.

Chiudo tra l’indice e il pollice, l’indice e il pollice un rettangolo bucolico che attraversa lo sguardo come cavalli al galoppo, mentre tu parli di una nuova musica, di parole sedute su un pentagramma come rondini pronte a volare.

Dalla camicia aperta l’iniziale di un nome appesa al collo, ne ripasso lenti i contorni sulla tua pelle.

Poi viene la sera, piano, annunciata e pianta dal tramonto, imbastita nell’orlo della notte con l’imbrunire.

Mentre guardo fuori dalla finestra, il riflesso di noi, come al di qua di uno specchio, in una bolla di vetro, come quelle sulle bancarelle dei turisti. E ti chiedi questo posto dov’è. A sud di ovest.

sabato 3 marzo 2012

Aleph

Paulo Coelho

Aleph

“Una partenza è seguita da un ritorno; un ritorno è seguito sempre da una partenza.”

Questo libro è un viaggio. Molto lungo, iniziato molte vite fa. Che cos’è l’Aleph? È l’incredibile porta che ci permette di vedere le altre vite.

Coelho racconta il viaggio sulla Transiberiana, la vita racchiusa nel piccolo spazio di una carrozza di un treno, condivisa con altri, dove con il passare dei giorni si beve più vodka che acqua minerale, e regna più silenzio che conversazione.

In questo clima si inserisce una variabile indipendente: Hilal, ragazza giovane, antica presenza nella vita del protagonista: è uno di quegli incontri che è un ritorno, l’amore doloroso e puro che li ha legati in passato ritorna, come un fiume che scorre, nello stesso modo doloroso e puro che strappa forse solo un bacio, o forse molto di più, è fusione di menti e di anime, senza quasi toccarsi.

Crossover con una scena di un altro libro di Coelho, Sono come il fiume che scorre: in aeroporto a Mosca il protagonista domanda chi capisce l’inglese, si alzano alcune mani, lui mostra un mazzo di rose. Distribuisce undici rose che vengono consegnate a Hilal, emozionata e confusa al suo arrivo lui le dà la dodicesima rosa. Nessun “ti amo” da happy end, forse un addio, un cerchio che si chiude. Scrive l’autore: era il giorno di San Giorgio.

San Giorgio-Sant Jordi, sulla Rambla a Barcellona in quel giorno gli uomini regalano rose e le donne poesie.

“Trasforma il tuo destino.

Riscrivi la tua vita.”