domenica 30 ottobre 2011

Via degli Oleandri

A un’amica…

Il mattino sbadiglia mentre afferro un volo di gabbiani nel quarto di cielo, che sta tra la mia finestra e il campanile.

Il caffè, le notizie alla TV, i miei gatti che attraversano morbidi il mio pensare.

Il telefono.

È Lea. Entra nella mia casa come un vento caldo d’autunno, quello che spazza i viali parigini, mentre tiri su il bavero della giacca e scopri una coccinella tra le dita.

Un portafortuna. Pensi.

Come un ferro di cavallo da appendere dietro alla porta. Hanno detto che così si fa.

Cavalieri e tavole rotonde, voltando un’altra pagina. Di un libro.

Ascolto il ritmo del suo parlare mentre raccolgo note troppo basse per il pentagramma di chi vorrebbe una sinfonia di Vivaldi. E non certo l’autunno.

Un cruciverba di parole, il suo amore, dove cuore non trova la rima in un quattro verticale che inizia per “q”.

Qualunquismo, mi viene da pensare.

Perché dobbiamo sempre legare il nostro star bene o star male al ritmo di un altro?

Dandogli tutte le colpe e contandone le assenze.

La ascolto, mentre tiro su un ramo di buganvillea del mio terrazzo e distratto lo sguardo incrocia il cielo al rumore di un aereo: la sua lunga scia va da est a ovest. Forse nord-ovest.

Penso che sarebbe stato meglio che mi lui avesse regalato un mazzo di margherite o di rose. Sarebbero appassite e non avrebbero dato altri fastidi.

Un altro aereo sale da est e punta a nord.

Seguo la scia.

Già, la scia. Ma perché ci sono immagini che ci obbligano ai ricordi anche quando staremmo tanto meglio senza.

-Ma mi ascolti?-

Lea mi richiama al suo presente, forse un aereo dovrebbe prenderlo davvero. È un po’ che glielo dico, me la immagino all’altro capo del telefono mentre nervosamente tiene un’unghia, come petalo d’oleandro tra le labbra e i denti.

Via degli oleandri, quella casa sul mare toscano che respira di pini marittimi.

E un’isola, gemma verde tra i ricordi, tra i capelli fatti di alghe.

Raccogli conchiglie di presente ascoltane la voce impastata di sabbia e onde.

Trova la nota perfetta e il taglio di luce esatto. Conta le presenze.

Sì. Anche il si è una nota per chi sta seduto su un rigo di pentagramma, tra lo spartito e l’orchestra.

Uno sguardo al cielo che stempera le scie d’aereo. Sì, erano meglio le margherite.

Per giocare a m’ama non m’ama, sull’aia di una danza antica, e la conta sulle dita.

domenica 23 ottobre 2011

Sotto la luna

Carlo Lucarelli

Sotto la luna

“Questi sono i fatti” contò sulle dita “un sottotenente all’Amba Alagi e un caporale dopo l’assedio di Macallè, lì c’ero anch’io.

Ricognizione offensiva, Evangelista torna da solo con un pugno di ascari.

Non si sa se il capitano faccia più paura agli abissini o ai nostri. Avete visto, no? Nessuno vuole parlarne.”

Sullo scenario della campagna d’Africa il racconto si snoda in un clima leggendario, che è quello che resta di tutte le guerre, dopo.

Condito da una buona dose possibilista di strani personaggi al limite di una nave di questo “olandese volante” che vaga senza pace tra le pianure etiopiche.

Licantropi e luna piena, in un dove che si fa mistero e ombra guardando la cartina geografica, in un continente animista, dove tutto può accadere, partorito dalla fantasia di uno stregone come di uno scrittore.

sabato 22 ottobre 2011

Hotel Palestine



Federica era in taxi, le mani strette nelle mani, bianche esangui e il viso perfetto di porcellana, o forse si era fatto di avorio in quel pomeriggio parigino. Invecchiato, all’improvviso.
Le labbra disegnate a cuore, come ciliegie mature, da raccogliere. La linea dell’eyeliner le sottolineava lo sguardo, a mettere in evidenza due occhi chiari, immobili come un lago.
Parigi sfilava dal finestrino mentre seguivano il lungo Senna, guardò la Tuilerie, e la Tour Eiffel svettava in lontananza, l’intreccio morbido di acciaio a disegnarne il profilo.
Le mani strette in grembo, gli occhi obliqui, abituati al pianto, che era un singhiozzo muto in fondo alla gola, come in un film si vedeva proiettata in una realtà che non le sembrava la sua.
Un errore, sicuramente avevano fatto un errore.
Massimo non poteva essere morto.
Il taxi rallentò, svoltò a destra nel vicolo e si fermò.
La giovane donna ne scese con tutto il peso della croce sulle spalle.
Si sentiva come un attimo prima di mezzanotte, quando sai che il conto alla rovescia viene scandito da migliaia di persone, come a Time Square e poi piovono coriandoli,  e parte la musica, e allora tutta quell’adrenalina, ti si scioglie in petto e non sai perché vuoi solo piangere.
Meno dieci
Alzò lo sguardo verso la finestra dove tante volte lui l’aveva salutata.
Meno nove
Quanto ci mette il cervello a comandare alle gambe di muoversi?
Meno otto
Le mani a cercare le chiavi.
Meno sette
Le chiavi cadute a terra, le mani che tremano.
Meno sei
La porta che si apre e lei che entra nel cerchio di ombra dell’androne.
Meno cinque
Lo sguardo sale le scale prima dei piedi.
Meno quattro
Le scale due alla volta.
Meno tre
La porta dell’appartamento socchiusa.
Meno due
I Carabinieri che si voltano vedendola entrare.
Meno uno
Lo sguardo di Iris, la compagna di Massimo: la Maddalena dopo che hanno crocefisso Gesù. Allora Federica capì e la bella maschera del suo volto di attrice si frantumò come un calco di gesso.
Zero
Massimo disteso sul letto. La testa reclinata sul cuscino in una posizione innaturale.
Federica rimase immobile. La morte aleggiava nell’ombra, quasi a scusarsi di ciò che aveva fatto, come il vizio di un bambino distratto che fa cadere il vaso delle caramelle.
La finestra era socchiusa, il vento sollevava leggermente la tenda e i tetti di Parigi occhieggiavano, tra le soffitte e i camini. Poi c’era il cielo.
Federica tornò a posare lo sguardo nella stanza, sul tavolino: la cornice d’argento con Massimo e suo padre sullo sfondo del lago Vittoria. Un foglietto piegato a metà. La siringa con l’ago scoperto. Le fece male il solo vederla, come la Bella Addormentata punta dal fuso.
“Massimo” le sembrò di urlare, ma la voce era appena soffocata. Le mancava l’aria.
“Massimo” questa volta gridò e le fecero male i polmoni quando l’aria li attraversò.
Poco dopo era tra le braccia di Iris: che non aveva più lacrime, solo quello sguardo di Madonna addolorata. Chi poteva consolarla?

Iris aveva gli occhi bassi, le facevano male per il pianto. Le labbra erano una linea sottile ed esangue, le parole pesavano come macigni, lei che con le parole aveva fatto girare il mondo ora era lì in quella stanza in penombra.
“Non ho parole” Massimo diceva così, ogni volta che qualcosa lo sorprendeva, lo ammagliava, lo stupiva.
Ecco, anche lei ora non aveva parole, non ce ne erano più, le avevano usate tutte, se le erano dette tutte, parlavano senza dirsi nulla, il loro amore era cresciuto così tanto da essere passato in un’altra dimensione, al di là dello specchio, come avrebbe suggerito Alice. Si parlavano con gli occhi, si intuivano a un cenno, a uno sguardo. I loro lunghi silenzi riempivano le stanze come note.
La loro storia stava nell’orlo scucito della notte, nel cono rovesciato della luce amica di un lampione, sul cortile. Lei era il negativo di una fotografia, il suo spogliarsi per lui con lo sfondo di quella luce e il suo profilo di cigno nero che lo affascinava.
Cercava convulsa nella mente un ricordo, disperatamente come rovesciare un cassetto per trovare una lettera, un documento, una sciarpa, qualcosa di smarrito, che ti serve subito.
E si graffiava l’anima facendosi largo tra i pensieri che non volevano prendere forma.
La mano premurosa del medico si appoggiò al suo braccio: “Ascolta, è meglio che prendi qualcosa, un calmante”
Lei scosse la testa, avvicinandosi alla finestra per respirare a pieni polmoni.
No, nessun calmante, con Massimo aveva condiviso tutto, il loro lavoro, l’amicizia, l’amore, i giorni di prigionia nello Yemen, poteva ora stordirsi e non vivere con lui anche la morte?
Doveva restare lucida e fissare nella mente ogni attimo.
Cosa le aveva detto prima di chiudere gli occhi per sempre?
Paralava di Federica, della casa in Italia e poi facendosi serio e raccogliendo tutto il coraggio che gli restava l’aveva fatta avvicinare, dandole un bacio sull’angolo delle labbra, dove si disegnava una fossetta quando era seria. “Qui ci sarà sempre il mio buongiorno e la mia buonanotte”
Così aveva detto. Lacerandole il cuore ora i ricordi cominciavano a scendere in caduta disordinata e libera.

Iris si svegliò sudata, le mancava l’aria, avvertì distintamente il ventilatore a pale del soffitto, la zanzariera ricadeva su suo letto. Ci mise un po’ a mettere a fuoco dov’era e che quello che aveva appena vissuto era stato un sogno.
Appoggiò le gambe a terra pensando che non l’avrebbero sorretta, poi si avvicinò alla finestra, Baghdad dormiva, c’era il coprifuoco.
Una lucina verde sul display del cellulare indicava che c’era un messaggio: era di Massimo.
“Buona notte, tienimi con te, che questa notte fuori nel deserto fa paura”
Già quella notte aveva fatto paura anche a lei: presagio?

mercoledì 19 ottobre 2011

In senso in-verso

C'è una credenza che dice che quello che cerchiamo cerca anch'esso allo

stesso tempo di incontrarci e se rimaniamo fermi ci trova.

È qualcosa che ci aspetta da molto tempo. Appena arriva non muoverti.



Dalle pagine sgualcite del nostro quotidiano, scritte su carta riciclata e sempre nuova come le notizie sui giornali, all’alba, entriamo nel nostro caffè, che per anni è stato un punto di ritrovo.

Il vecchio Antonello alza gli occhi dal quotidiano, con quel suo sguardo impenetrabile, e un accenno di sorriso.

Eh, sì son passati un po’ di anni e un po’ di rughe, sulle facce di tutti noi.

-Caffè lungo-

-Macchiato freddo-

-Macchiato caldo-

-Un caffè d’orzo-

Ci guarda scuote la testa si volta verso la macchinetta, tanto li farà tutti e quattro uguali.

Genova se ne sta distesa tra le colline e il porto.

Tengo le mani sulla tazza, a scaldarle, la Lanterna è ancora accesa e il suo fascio intermittente entra nel bar a ondate.

Le andiamo incontro, uscendo dal locale, tirando su il bavero delle giacche a vento, e coprendoci con il cappuccio. Piove.

Le mani affondate nelle tasche e brandelli di poesie recitate su questo teatro senza pubblico e senza applausi. A braccio, come tanti anni fa.

Un gatto ci guarda riparato da una barca tirata in secca e rovesciata.

Franco ricorda il faro di Gian, che non c’è più.

La vita è un senso in-verso quando conta le assenze.

-Qual è il tuo verso?- chiede Carlo a Simone.

Li guardo, vite tenute insieme dalla rima dell’amicizia, quell’esserci comunque ancora ad afferrare un verso che racchiuda il dolore, l’amore, tutto, come un pezzo di pane, come un urlo, come noi.

-La luna in un bicchiere, dimenticata alla fine di una festa-

Un sorriso amaro mi increspa le labbra, come questo mare gonfio di mistral.

Arresi al giorno che non è più da combattere.

Poeti agli angoli del nostro passare, setacciamo la vita raccontandola in versi.

Oggi, come allora.

Quando Gian urlava la sua rabbia lanciando uova e vernice sulla facciata del Tribunale e Simone lo difendeva. Quando il tempo che è passato ci ha lasciato dei grandi ideali libri da scrivere.

Pioggia e mare su di noi oggi, a ricordare.

E un libro di Baudelaire da masticare come sabbia, lo ricordo, buttato distrattamente sul sedile posteriore della tua auto, caffè amaro e le palme.

Mazzi di basilico da comprare al mercato, vicoli stretti come un abbraccio, la musica di De Andrè come un bacio mancato.

Il senso in-verso di noi. Tra note e poesia.

lunedì 17 ottobre 2011

Non esistono ladri d’orizzonte, diamoci un taglio

Il sole era un’arancia rossa affacciata al mio bicchiere vuoto, nella sala d’attesa di una vita.

Sale d’attesa

Attese

Di biglietti obliterati, morsi con i denti a ferire la neve con il sangue.

Walzer di cellule impazzite nausea di riso soffiato sulle labbra.

Punta Perotti è un cumulo di macerie, acciaio contorto e cemento sgretolato, affoga il sole crepitando sul mare e sposa una luna dorata che lascia scia d’argento sull’acqua.

Sento un brivido, allungami una coperta di mare, lascia che mi copra nel ritorno umido di marea, mentre mastico sabbia.

Carezze di sguardi sulla superficie ruvida degli ulivi, che feriscono la pelle, lasciando un segno, il resto mancia, nelle tasche scucite di una zingara a pescare il destino.

Ulivi e baobab, braccia al cielo a invocare perdono.

-Posso farti una carezza?

La tua mano.

Pelle

a pelle

scatena il temporale dei miei occhi, di lacrime che non posso piangere, di ossa spezzate nel gioco sbagliato di bastoncini di shangai.

Nodo alla gola a scendere, fantasma disteso come filari di vite.

Vita

Le banchine delle stazioni di quando si cerca il volto assente di un presente imperfetto, tempi verbali, accordi stonati.

Dis(accordi)

Chiese e Santi nascosti nelle pietre delle case, campane che suonano, nessun campanile.

Campane,

croci di Sant’Andrea, ai passaggi a livello.

Fermi, con le fiabe nelle mani, racconti bambini, perché loro ai sogni ci credono.

In equilibrio sulla mia insicurezza taglia con le forbici la linea dell’orizzonte.

Apparecchia sul tavoliere ruggine a legare i filari delle vigne.

Le file del destino in tasche di grano, paglia i miei pensieri.

Afferro la notte, infilando le unghie nel cielo buio che mi ruba l’orizzonte.

Costretto il diaframma per gridare un (no) che arrampica la notte senza cielo dove il buio ha perso l’orizzonte.

(Sulle labbra solo un lamento)

Le parole si fanno mute, ferme sui punti.

Si leggeva Shakespeare alla Cappella degli Scrovegni.

Cesella il restauro del mio cuore in pezzi.

Mosaici

Per(dere) e per(donare) certe carezze che lasciano buchi nell’anima mentre cerchi di lavarle vie.

Atto di dolore (lavami l’anima)

Mi pento e mi dolgo (atto di dolore, cucimi l’anima)

Il riflesso della luna cristallizza una ferita di spalle piegate, arrese, dita contratte, vattene via dai polsini arrotolati delle tue camicie a stropicciarsi sul pavimento.

Minuetto e sipario.

Risponde in eco il Quintettino di Boccherini, do maggiore,

“Que c'est triste Venice
quand on ne s'aime plus”

Ponti rovesciati in piccole miniature di vetro soffiato, da agitare per far nevicare.

Lingue straniere e pensieri fragili raccolti nei foulard.

Que c'est triste Venice
in una bolla di vetro.

Santa Maria, prega per noi…

Ultime file che ancora cercano baci, mentre già corrono i titoli di coda, all’uscita di un cinema che a raccontarti un libro basto io.

Non esistono ladri d’orizzonte, prestami le forbici arrugginite, chiuse dalle pietre, là in quel paese sul mare e taglia il cielo in coriandoli, fai nevicare ritagli di nuvole di drago.

Le parole che van giù come gettoni a coprire le distanze.

Bustine di zucchero a ballare un tango sulle tazzine al Caffè del Mar.

Parole crociate sulle verticali di certi muri in pietra,

io,

2 orizzontale, il contrario di un sì.

Punti e virgole, raccontami una storia di frasi lunghe, senza andare a capo,

che certi bagni di mezzanotte ti lasciano asciutto, avvolto in lidi di lino e brezza tra le ciglia, tremando un temporale, dagli occhi.

Lidi di levante mentre coltivo ulivi bonsai sul mio balcone a Shangai.

Piombo il Q-U-O-R-E

impiccata una lettera, iniziale sbagliata al collo

domenica 16 ottobre 2011

Ebo e Gina

Giordano Bruno Guerri

Ebo e Gina

“Erano due ragazzi innamorati, poco più che vent’enni, perduti in un bosco, in un amore e in una guerra. Pensavano alla loro vita insieme come al rimedio di tutti i mali.”

Ritratto di famiglia sfiorato con dita di gesso in una stagione matura che sa guardare con occhi disillusi il tempo che fu. Vite intrecciate sullo sfondo della guerra e della fame.

Tratto calibrato e realista che nulla toglie e nulla aggiunge a personaggi andati, ritratti nella loro miseria e realtà. Un realismo poetico di cose semplici, come quando si apre la porta al vicino passato e si affacciano fotografie in bianco e nero a fermare distrattamente quello che di noi, in quel momento, si chiama presente.

sabato 8 ottobre 2011

In controluce, taglio di ombre

Ogni volta che parlo di te
tu fai parte o non parte di me
ogni volta che piango per te
tu fai parte o non parte di noi -A.Venditti-


Sono stata a Parigi chiusa in un libro per anni.
Come certe margherite ad appassire tra le parole.
“Falli durare, questi fiori”
Ho srotolato la matassa di pensieri e verbi al condizionale fino ad avere un solo capo tra le mani, l’altro lo tenevi tu.
Un passo dopo l’altro sono tornata, da Parigi.
Guardo una fotografia dove in rovesciati ombrelli stavo a raccogliere coriandoli di foglie secche sugli Champs Élysées
La Senna ancora mi scorre nelle vene, portandosi il riflesso tardo di un presente andato, quasi imperfetto.
I-m-p-e-r-f-e-t-t-o
Come il nostro tempo, come una bolla di sapone dove stavamo in silenzio ad assaporarci il privilegio di esserci nelle nostre vite. La comunione di un attimo genuflessi al peccato originale, in un non tempo di una città con Madonne dipinte sui muri a cadere scaglie di gesso.
Bolle come in un bicchiere di spumante a celebrare un nuovo anno. Piccole bolle dove custodire ricordi, di due mani, un domani.
In controluce, nel taglio di ombre di questo caldo pomeriggio di inizio autunno, un aeroporto, come tanti, quello che conta è che quel libro finito tra le mani ha già il respiro di chi parte. L’orizzonte disegna ombre di case e campanili e lo sguardo cerca il taglio perfetto, come in una tela di Fontana, perché quello che vedi è solo un riflesso, il negativo di una fotografia.
I particolari stanno dalla parte di chi scatta.
Fermo-immagine.

mercoledì 5 ottobre 2011

Dieci minuti di passione per conquistare l’editor

http://www.ilgiornale.it/cultura/dieci_minuti_passione_conquistare_leditor/02-10-2011/articolo-id=549408-page=0-comments=1

Dice del Women's F.Festival Luigi Mascheroni

domenica 2 ottobre 2011

Women’s Fiction Festival











I have a dream… M.L.King

A Matera dal 29 Settembre al 2 Ottobre si svolge il Women’s Fiction Festival nella cornice storica dei Sassi.

Un’occasione unica per chi scrive.

Il Congresso Internazionale per scrittori prevede Workshop di scrittura; pitching session: in dieci minuti date agli editor e agli agenti letterari quello che cercano, la capacità di sintetizzare il proprio romanzo e colpirli; sessioni di brainstorming; briefings for thriller writers. Con un servizio di traduzione in simultanea.

Qualche nome: Elisabeth Jennings (Presidente) Maria Paola Romeo (Grandi & Associati) Maria Teresa Cascino (organizzazione) Daniela De Rosa (Kowalski Italia) Jessica Lake (Simon & Schuster, UK) Susan Swift (Utopia Press USA) Laura Ceccacci (Leggereditore) Giulia Ichino (Mondatori) Anna Pastore (Sperling & Kupfer) Rita Viavian (Literary Agency) Cristina Palomba (Ponte alle Grazie) Sallyanne Sweeney (Watson & Lettle Literary Agency UK) Bet Barany (consulente creativa USA)….

In un’epoca dove ci si affaccia al digitale, dove in America la vendita degli e-book sta pareggiando quella dei testi di carta, in un tempo fatto di iPad, applicazioni da scaricare sull’iPhone, book-trailers resta ancora il fascino e il profumo dei libri di carta.

Domandiamoci se non sia meglio ricevere in regalo il classico vecchio libro, magari con la dedica dell’autore al posto di un buono Amazon per un e-book.

Lo stesso Luigi Mascheroni, giornalista, prendeva appunti sulla Moleskine.

La nuova frontiera, il futuro parlano digitale.

Ma nulla è come tenere in mano un libro e iniziare a sfogliarlo, una pagina dopo l’altra…

Grazie a Tutti quelli che sanno perché…i sogni son desideri…