domenica 30 gennaio 2011

EPTA – SUITE DI NICOLA PIOVANI BIFEST









"Il corpo resta e la mente prende il largo, aggrappata a quei gusci di cocco stretti in una rete da pescatore, sui quali Henri Charrière detto Papillon, scappò dall’Isola del Diavolo, gettandosi nell’oceano dall’alto di una rupe. Anch’egli, per quel tuffo, attese il rompersi sugli scogli della settima onda. L’unica capace di sospingere la sua rozza imbarcazione verso il mare aperto. Dritto, incontro alla libertà" Claudia Carucci


Sabato 29 Gennaio serata conclusiva al Teatro Petruzzelli per il Bifest.

Felice Laudadio saluta il sindaco Emiliano, il presidente della provincia Schittulli, l’assessore alla cultura Silvia Godelli, Oscar Iarussi, Silvio Maselli, Angelo Ceglie, e i 107 lavoratori che da un anno lavorano al Bifest.

Greta Scacchi consegna il premio Morricone per le musiche a Carlo Virzì per La prima cosa bella.

Premio per la miglior fotografia a Marco Sgorbati e G.Paolo Conti per Sorelle mai.

Premio Ferretti per la miglior scenografia a G.Pennati, premio Tosi miglior costumista S.Consaga, M.Fassari per Una sconfinata giovinezza.

Premio Perpignani a B.Atria e M.Grillo per il miglior montaggio di Le quattro volte.

Giuseppe Battiston miglior attore non protagonista di La passione.

Cinquina di premi per Mine vaganti, premio Monicelli per la miglior regia, ritira il premio Domenico Procacci perché Ozpetek è a Budapest per l’uscita del suo film. Legge un suo messaggio Nicole Grimaudo.

A Ivan Cotroneo premio S.CecchiD’Amico per la miglior sceneggiatura, premio Tonino guerra per il miglior soggetto.

Nicole Grimaudo migliore attrice protagonista riceve il premio Anna Magnani da J.Sorel.

Ettore Scola premia Ilaria Occhini come miglior attrice non protagonista, a lei il premio Alida Valli.

Prende la parola Ettore Scola: “Non ho parenti in Puglia, ma si può sempre rimediare” ringrazia il pubblico e continua facendo una considerazione sottile ed arguta, ricordando di aver partecipato a tutti i premi del mondo, e in alcuni veniva voglia di scappare dopo il primo giorno, “ qui no, e mi pare che il direttore artistico Laudadio, il sindaco Emiliano, il presidente Vendola siano delle persone con delle fedine penali pulite”

Epta, la suite di Nicola Piovani, premio oscar, semplicemente m-a-g-i-s-t-r-a-l-e.

Le note dell’orchestra sono sette e passano nelle mani rassicuranti di sette musicisti.

Uno su sette

Non bastano riga e compasso a fare l’ettagono.

Due su sette

Le sette porte di Tebe

Tre su sette

Il papiro di Rhind

Quattro su sette

Come vi piace

Cinque su sette

Settimo sigillo

Sei su sette

La danza dei sette veli

Sette su sette

Sette paia di scarpe ho consumato…

Premio Fellini 8½ a Nicola Piovani per l’eccellenza artistica

E mentre bevo un tè, seduta a un tavolino del Riviera guardo il mare dalle vetrate bagnate di pioggia, hanno tolto le transenne davanti a Kursaal, penso che in fondo, la settima onda è solo un’onda più alta delle altre.

sabato 29 gennaio 2011

Die Schwester – Teatro Petruzzelli 28-01-11 Bifest

Greta Zuccheri Montanari 12 anni viene premiata per L’uomo che verrà, premio Alida Valli.

Premio Vittorio De Sica per il miglior documentario: È stato morto un ragazzo di Luca Vendemmiati. Maite Carpio presidente della giuria legge la motivazione: “Straordinaria ricostruzione di un fatto di cronaca sconvolgente. Per il valore sociale di un documentario che denuncia un’ingiustizia”

Premio Opera Prima Francesco Laudadio ad Aureliano Amadei per 20 sigarette.

Legge la motivazione Erfan Rashid: “per essere riuscito a dimostrare senza cadere mai nella retorica, per essere riuscito a dare un nome, un volto a chi ha perso la vita facendo il proprio dovere”

Premio Fellini 8½ ai fratelli Paolo e Vittorio Taviani.

“Io credo di aver passato gran parte della mia vita a premiare i fratelli Taviani” dice Ettore Scola.

Il pubblico del Petruzzelli in piedi applaude.

“Questo premio mi sta a cuore” dice Vittorio “Fellini sosteneva che le più belle immagini del cinema sono gli ultimi 10 minuti di Le luci della città, se fosse vivo Fellini gli dovrei dire che gli ultimi 10 minuti di sono tra le sequenze più belle del panorama cinematografico”

Paolo afferma rivolgendosi a Ettore Scola: “Uno dei più grandi registi del cinema italiano mi ha dato il premio. Guardo i giovani registi in sala e mi domando: ci sarà un Fellini tra di loro? Questo festival ha messo il germe di una nuova stagione”

“Non c’è motivazione” dice Ettore Scola “ognuno di voi ha la sua motivazione a questo premio per i fratelli Taviani.

Die Schwester di Margaret von Trotta introspettivo su un capitolo al tramonto della vita dove il destino ha in serbo il gioco sottile di una sorpresa inaspettata.

Ciò che deve accadere

accade

venerdì 28 gennaio 2011

London Boulevard – Teatro Petruzzelli 27-01-11

www.bifest.it

Viene premiato il miglior corto in concorso al Bifest.

Premio Michelangelo Antonioni al corto “Cose naturali” di Germano Maccioni.

“Sono un attore timido. Non c’è niente di più tremendo che raggiungere le cose che desideri”

Legge la motivazione la presidente della giuria Maria Pia Fusco: “Per la leggerezza con cui ha trattato amore e morte”

Felice Laudadio racconta un aneddoto, 14 anni fa, al festival del cinema di Saint-Vincent (la critica internazionale premia il cinema italiano), premiò un’attrice con la Grolla d’oro, ma l’attrice a fine serata dimenticò il premio, che lui conservò per tutto questo tempo con la promessa di riconsegnarglielo. Chiama sul palco Valeria Golino restituendole la Grolla d’oro.

London Boulevard, noir o hard boiled?

Guardia del corpo di un’attrice, tra scene violente e troppi discorsi.

Personalmente qualcosa di déjà vu e un po’ lento.

Trama senza colpi di scena, tipica di questo genere, sapevi cosa aspettarti.

E ovviamente non il lieto fine.

Mi basta poco dice il bodyguard.

Per essere felice? Risponde l’attrice

Per essere vivo

E non lo rimarrà a lungo.

giovedì 27 gennaio 2011

Morning glory – Teatro Petruzzelli 26-01-11 Bifest

In sala C.Cardinale, R.Tognazzi, P.Valsecchi, G.Nuziante, L.Medici, R. Papaleo.

Nichi Vendola consegna il premio Fellini 8½ a Claudia Cardinale.

“Il suo nome e il suo volto, i suoi film conosciuti e amati in tutto il mondo. Figura iconica che ha subito un’evoluzione unica. Un legame di passione e rispetto tra la Cardinale e il suo lavoro. Fellini ha sublimato il fascino di Claudia Cardinale. Simbolo senza tempo.” Motiva Laudadio.

L’attrice ringrazia, “io non ho mai chiamato nessuno. Mi hanno chiamata loro e mi hanno insegnato tutto”

Sulla scena irrompe Luca Medici – Checco Zalone, che si inchina davanti al presidente Vendola.

Si guarda intorno e riferito al teatro esordisce: “Bello. È nuovo?” le risate si susseguono alle sue esilaranti battute.

Personaggio semplice e dissacrante.

Valsecchi sostiene che questo film è stato un battistrada per il cinema italiano.

Premio numero 1 a Valsecchi, Nuziante, Medici.

Vendola: “Non c’è la motivazione” esordisce, poi racconta un aneddoto divertente, capita che quando telefona a qualcuno si senta rispondere: “Ma dai, lo so che sei Checco Zalone”

Vendola definisce a malincuore una comicità innovativa, quella che caratterizza l’attore e i suoi film.

“Ci fa ridere, sorridere e persino pensare”

Poi conclude: “Mi porto una domanda, Zalone, ma lei da me cosa vuole?” e il pubblico ride. Applausi.

Mornig glory con Harrison Ford e Diane Keaton, dal regista di Notting Hill, commedia americana sulle vicende di un programma televisivo del mattino sull’orlo dell’imminente fallimento.

Una bella New York luminosa, tra il traffico della Quinta strada e un Prometeo visto di spalle.

“A nessuno importa se sono bravo o meno. Sono bravo e volevo che lo vedessi”

La chiave del film di un giornalista che dopo aver vinto premi ed Emmy passa al programma del mattino risollevandone le sorti grazie alla brillante capacità di una giovane direttrice.

Lieto fine con tanto di frittata cucinata in diretta tra Gavi e Barolo.

E New York sullo sfondo, all’alba con il sole sul East River.

“Good morning. America”

mercoledì 26 gennaio 2011

Father – Bifest Teatro Petruzzelli 25-01-11

Premio Fellini 8½ a Fabrizio Gifuni.

Laudadio motiva il premio al rigore, alla serietà intellettuale di un attore completo e totale.

Attore e regista capace di capitalizzare il proprio lavoro con eleganza. Gadda e Pasolini che Gifuni rilegge alla luce di un passato che non può e non deve essere dimenticato. Artista, intellettuale eclettico, per la sua viva ironia, difende il diritto ad essere un sognatore.

Fabrizio Gifuni ringrazia e definisce i teatri uno dei pochi luoghi liberi dove la comunità si può incontrare.

Il pubblico applaude l’ingresso in sala di Pasquale Squitieri e Claudia Cardinale. E penso sia uno dei pochi applausi che riceverà nella serata.

Father - Teatro Petruzzelli Anteprima mondiale, recita il programma. Un tantino autocelebrativo, ritengo.

Alla domanda del conduttore sulla motivazione a fare questo film il regista risponde: “Perché mi hanno offerto milioni di dollari” una battuta, certo, ma già al primo fotogramma il pubblico capisce che qualunque sia stata la somma spesa sono stati soldi buttati.

Poi Squitieri continua dicendo: “Avevo un dovere verso le nuove generazioni, perché la mia generazione ha ucciso innocenti in nome di un’ideologia Hanno ucciso Moro. In nome di un’ideologia. Massacrato il paese per anni. Si uccideva in nome dell’ideologia. Gli assassini non hanno fatto un giorno di prigione, perché c’è un’altra ideologia” E il richiamo alla parola mafia non resta troppo sottinteso.

Poi si rivolge al giornalista suo interlocutore e gli domanda: “Cosa ne pensa della politica italiana?”

“Le rispondo citando Mark Twain, scelgo l’inferno per la compagnia e il paradiso per il clima”

Non faccia politica Squitieri.

La prima immagine sgranata sullo sky-line di Philadelphia, le prime battute degli attori fanno corrugare la fronte al pubblico in sala. Questo film si presenta come il festival dell’ovvietà, il teatro del banale, accompagnato da una pessima recitazione, una regia distratta e una storia che può solo creare imbarazzo. Non per i contenuti che lei caro Squitieri ha definito crudi, si è visto di peggio nei film sulla mafia. No, imbarazzo per lei, per gli attori.

Un recital amatoriale del gruppo dell’oratorio avrebbe fatto meglio.

Riprese mal riuscite, da far pensare siano state girate con la telecamera di un telefonino, interni che hanno la presunzione di sembrare americani.

Le prime persone si alzano e se ne vanno.

Guardo la sala, la gente borbotta, ridacchia, c’è anche chi dorme.

A mezz’ora dalla fine dopo un’interpretazione penosa della Cardinale e di Facchinetti mi alzo e me ne vado.

Non so fischiare. Mi sarei limitata a un: “Vergogna”

Vergogna per la scelta di questo film, privo di qualsiasi requisito per arrivare in teatro.

Perché non lo si è presentato la mattina seguito da una bella lezione di cinema, tra critici e giornalisti? Il linciaggio era garantito.

E non ci deve stupire che la ministra Brambilla si scandalizzi se “What Country” ha definito l' Italia il paese: “della pizza, della mafia, della pasta e della Vespa”

Questo offre di noi il cinema, e in questo caso lo fa pure male.

Signor Squitieri le faccio io una domanda: si chieda cosa pensa di lei la politica.

Quando in sala di politici non se ne sono visti. Nemmeno Vendola era presente.


"Father" è stato sostenuto da:
Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MiBAC): 500.000 euro (Interesse Culturale)



martedì 25 gennaio 2011

La rafle (Vento di primavera) Bifest

Lunedì, 24-01-2011

“Forse i ricordi non sono in bianco e nero. Ma tutte quelle fotografie sparpagliate sul tavolo mi sembravano una memoria un po’ più vera, un po’ più giusta. O forse i miei ricordi rimanevano prigionieri dell’epoca” Philippe Delerm




Nichi Vendola consegna il premio Fellini 8½ a Carlo Verdone, “Nonostante tutto sono fiero di questo festival” esordisce.
Verdone afferma: “La cultura è l’unica cosa che può darci dignità”.
Laudadio conferisce il premio Fellini 8½ a Carlo Verdone e legge la motivazione: “Nel corso degli anni Carlo Verdone è diventato un’icona capace di superare indenne il tempo. Curiosità, passione, gusto e cura del dettaglio. Ha saputo restituirci un senso con cui confrontarci con sorriso e malinconia.”

La Rafle alza il sipario scoprendo la Tour Eiffel con le note malinconiche di Á Paris…
Pagina tragica dell’ultima guerra, capitolo vergognoso di un popolo civile.
La pellicola racconta del rastrellamento di 13000 ebrei radunati al Velodrome d’Hiver e deportati.
Lo scatto che ferma il dramma passato negli occhi e nei giochi dei bambini.
La Rafle. La razzia.
Una giostra di cavalli e il disperato tentativo di illudersi che un simile incubo non possa accadere.

“Devi leggermi di nuovo Via col vento” dice la mamma alla figlia.
“Così piangerai”
“Fa bene piangere per cose non vere”

Esorcizzare la paura.
Quando la paura è la distanza di un simbolo. Di una stella.

lunedì 24 gennaio 2011

L’ultimo Gattopardo – Ritratto di Goffredo Lombardo


http://www.bifest.it/



Teatro Petruzzelli 23-01-11

“Venere stava lì avvolta nel suo turbante di vapori autunnali. Essa era sempre fedele, aspettava sempre Don Fabrizio alle sue uscite mattutine, a Donnafugata prima della caccia, adesso dopo il ballo. Don Fabrizio sospirò. Quando si sarebbe decisa a dargli un appuntamento meno effimero, lontano dai torsoli e dal sangue, nella propria regione di perenne certezza?”

Tomasi Di Lampedusa

Curioso, come in questa parte d’Italia si avverta ancora così forte lo schierarsi pro o contro i Borboni, come se il Regno delle due Sicilie fosse ancora intrepido baluardo da difendere.

Ettore Scola apre la seconda serata del Bifest e sostiene che la passione non è una professione, in questa regione modello per l’Italia che coglie le occasioni di passione.

Il premio Fellini 8½ conferito a Tornatore, legge la motivazione Laudadio definendo lo stile del regista “originale e unico” e ancora “sguardo carico di sensibilità, poesia scoperta in una realtà complessa”.

Tornatore sottolinea l’affetto per la città di Bari, che gli porta fortuna, questo premio è per lui provocazione e stimolo a mantenere viva la passione per il cinema.

Il film in visione, L’ultimo Gattopardo, è il racconto di una passione, afferma Tornatore. È solo questione di passione.

Nichi Vendola definisce il cinema di Tornatore un antidoto alla volgarità, sostiene ancora che il cinema, così come la musica, la danza, non sono solo un dovere per rappresentare le nostre virtù civiche.

In sala: Pupi Avati, Ascanio Celestini, Fabrizio Bentivoglio, Carlo Verdone, Gianrico Carofiglio.

L’omaggio a Goffredo Lombardo è l’evocazione del ricordo che passa attraverso le parole e i racconti dei registi, degli attori, degli sceneggiatori che hanno lavorato per lui e con lui.

Tornatore: “Tu puoi fare 100 film. Ma ogni volta è come se ricominciassi tutto da capo”

La sala applaude il fotogramma che presenta Monicelli.

Dario Argento racconta così il produttore della Titanus: “Leggeva tutti i copioni. Faceva le orecchiette alle pagine”

Goffredo Lombardo, uomo non comune che ha saputo vivere con passione.

Innamorato del Gattopardo, affidato a Visconti che ne fa un colossal con un impiego di denaro da rischiare di far fallire la Titanus.

Il ballo e la sua preparazione durarono un mese e mezzo.

In una versione solo il ballo durava dure ore.

Lombardo vendette il suo impero per salvare il marchio, fu il curatore fallimentare di se stesso.

Per pagare il film gli italiani avrebbero dovuto vederlo due volte, anche in America non andò meglio.

Ma Goffredo Lombardo visse e lavorò sull’onda delle sue passioni e quel film fu la passione più grande.

Consacrandolo alla storia come l’ultimo Gattopardo.

La sera della prima sostenne: “Nella mia vita di produttore mi basterà aver fatto il Gattopardo”

Ma ripartì sempre, anche dal basso.

Una sua frase nella camera ardente recitava: “A tardi, perché a presto non s’addice”

Racchiudendo in questo suo umorismo triste, il saluto di un grande.

“Don Fabrizio” che torna a casa a piedi dopo il ballo. Il ballo più famoso della storia cinematografica.

domenica 23 gennaio 2011

Bifest, Bari, 22-29 Gennaio

www.bifest.it

-“Brucia il Mercadante!”

L’esclamazione si fece lamento in un coro disperato sempre più fitto. Neanche i tizzoni ardenti, la paura di un’esplosione, di un crollo improvviso tenevano lontana la folla. Non curiosità, ma pianto e rabbia per quella distruzione.- Federico Pirro Bari brucia

“Apri gli occhi al foyer”

È il ciak si gira, è la frase che in gergo tecnico annuncia che il grande carrozzone del cinema ha inizio. E a Bari la Apulia Film Commission di strada ne ha fatta e non è solo il giro di prova con il miglior tempo di Senna in pista.

Il teatro gira come una di quelle giostre con il carillon raccogliendo i fasti di un tempo, forse un po’ più invecchiato, con chi c’era ieri e c’è oggi, pubblico con qualche ruga in più, ma si sa il tempo ha tutte le sue coniugazioni e anche l’imperfetto fa parte di questa sottile trama.

Una fila ordinata si snoda fuori dal teatro.

Telecamere e giornalisti.

Felice Laudadio esce sul palco all’improvviso come se fosse naturale arrivare così, la folla ancora disordinata trova il suo posto.

Emozionati il sindaco Emiliano e il governatore Nichi Vendola che afferma che la nuova energia, la chimica del futuro sarà la cultura. La fabbrica della cultura.

Premio Fellini 8½ per l’eccellenza artistica a Domenico Procacci.

Gira il teatro nell’affetto degli applausi. Perché al di là della politica e dei tagli alla cultura c’è ancora chi ci crede e nonostante tutto sa che è cibo per l’anima, “Buon appetito” l’augurio di Vendola.

In sala Jean Roy, Marco Bellocchio, Greta Scacchi, Peter Schneider, Jean Sorel, Emanuel Ungano. Aleggiava la presenza di Tornatore.

Il film in anteprima, The King’s Speech (il discorso del re), con Colin Firth, il ritratto di re Giorgio VI, che non ha paura di mostrare un handicap, la straordinaria amicizia con il logopedista che lo cura, al di là delle etichette rigide previste dal protocollo reale, in un clima di guerra imminente, sullo sfondo la chiacchierata e discussa storia tra Wallis Simpson e Edoardo, duca di Windsor.

Un quadro deformato come Las Meninas nelle mani di Picasso che strizza l’occhio al Velàzquez. Perché la realtà, anche quella dei reali ha il suo bagaglio di insicurezze, di paure, di difficoltà, e la perfezione giace solo nei ritratti di famiglia appesi sul camino.

Il pubblico applaude.

Tutto intorno, dal Kursaal al Galleria, dall’ABC al Cineporto le pellicole raccontano.

Ciak si gira.

venerdì 21 gennaio 2011

La Gran Madre parlava, i Cappuccini rispondevano


Sera grigia

Mi duole in petto la bellezza: mi dolgono
le luci
nel pomeriggio arrugginito; mi duole
questo colore sulla nube – viola plumbeo
viola repellente; il mezzo anello della luna
che brilla appena – mi duole. Passò un
battello.
Una barca; i remi; gli innamorati; il tempo.
I ragazzi di ieri sono invecchiati. Non
tornerai indietro.
Serata grigia, luna sottile, – mi fa male
il tempo.

Ghiannis Ritos

A Manu, Cap.71

Il cielo plumbeo si faceva riflesso nel fiume che scorreva lento. Acqua di Po.

Biglietti stropicciati nelle tasche, i tacchi al passo della musica in cuffia. Manciate di coriandoli sulla strada, mazzi di papaveri, fiori di campo di un Carnevale distratto.

Quattro Re, nelle mani. E un Asso di Cuori. Figli dell’inverno

Di chi con il cuore arrotonda sempre per difetto.

Modì stava seduta vicino alla fontana e tutto intorno si chiudeva su di lei la piazza dalle linee severe e le soffitte avevano i tetti bordati di neve, come ricami alle finestre. Cristalli di freddo, merletti di brina. La sua corte dei miracoli.

Manù era il viso conosciuto tra la folla, ferma al semaforo con la mano alzata a salutare.

Il pomeriggio passava nelle trame delle tovaglie bianche dei tavolini di un bar. E il Lavazza non era solo un caffé.

“Certo che se pensavi di passare inosservata ti è riuscito male” Manù era così, dissacrante.

“Tu che di solito hai lo smalto coordinato con la borsa, sembra che ti sei vestita al buio” continuò.

Modì osservò che l’amica aveva ragione.

“Sono distratta in questo periodo” disse

Distratta,

distratta,

distratta

Si sentiva come in una di quelle sfere di vetro che se agitate fanno nevicare. Così si sentiva.

Le carte coricate sul dorso avevano la risposta, ma non sempre quello che crediamo giusto per noi è anche il meglio per noi.

L’Appeso e il Carro.

“Ragazze volete farmi chiudere?” il commento bonario del cameriere.

Come annegare certe storie in un cappuccino. Dissacrante e disarmante.

Risero.

Fondi di caffé per cercare la via. Quando il passaporto era più affollato dell’agenda, e “zaino in spalla in Costa Rica” uno di quei buoni propositi mancati.

Via San Tommaso, la gente acquistava i primi presepi, nell’aria: Dicembre.

Il tempo passava per le mani, e il fiato si faceva corto dietro una sciarpa di lana.

Ai duecento all’ora sull’autostrada della vita.

Modì andata e ritorno.

E la torre caduta sulla scacchiera di un tempo imperfetto.

Manù in quello scorrere lento di giorni tra case bianche e azzurre, la Grecia nel cuore.

Finiva la piazza e si apriva il ponte sul Po.

Suonarono a lungo le campane della Gran Madre.

Poi un rintocco sulla collina: la Gran Madre parlava e i Cappuccini rispondevano.

mercoledì 5 gennaio 2011

Da Santiago verso Santiago


-Che tu sia il benvenuto nel luogo dove diciamo che il cielo è sempre azzurro anche se è grigio, perchè conosciamo il colore che esiste al di là delle nuvole. Che tu sia il benvenuto nella regione del Tengri. Che tu sia il benvenuto da me che sono qui per riceverti e onorarti per la tua ricerca- P.Coelho

Il ponte sul fiume Ebro era un luogo di incontro per i pellegrini che andavano a Santiago.

Un lungo cammino, tra santi e demoni, anime perdute e volti trasfigurati.

L’anima di Viola era la tavolozza di un pittore lasciata a metà, un bozzetto dalla linea morbida, bianca e nera, come le curve della sua pelle e i suoi capelli, inchiostro nella macchina da scrivere.

Quando non c’erano più parole da dire, o forse si erano dette tutte, anche in quei lunghi silenzi autunnali dove si sentiva come un’immagine di Sarah Bernhardt sulle scatole di latta, di mezzo secolo prima.

Le sue gambe giovani camminavano al ritmo della musica in cuffia, verso Santiago.

A piedi.
Perché le grandi risposte si trovano forse solo alla fine di un lungo viaggio e magari aprono l’orizzonte ad una nuova Itaca, e arrivarci, si sa, è un altro viaggio.

Così se andava quel pomeriggio quando si accesero le luci dei lampioni che attraversavano il fiume Ebro. Si affacciò lasciando che i capelli fluissero nel vento che soffiava da sud, come spettinati pentagrammi dove le rondini se ne stavano prima di partire.

Lui arrivava dalla direzione opposta, incontrarsi era inevitabile, aveva uno zaino pesante e un cappello calato sugli occhi, una conchiglia, pendeva da una tasca, il simbolo dei pellegrini, si ritrovò a pensare Viola.

La salutò. “Dove vai?”

“A Santiago. E tu, da dove arrivi?” domandò lei.

“Da Santiago”

È curioso come certi frammenti di vita diano l’impressione di incastrarsi come i pezzi di un puzzle. Anche volendoli evitare, cercando una forzatura nel loro intreccio la vita segue sempre il suo cammino e non sempre è la via più breve, la più facile, quella con le migliori compagnie.

Viola lo sapeva, e il nutrito gruppo di spettri che si portava appresso nella sua ombra, che l’ora del tramonto allungava, prima o poi lo avrebbe dovuto affrontare.

Rimase nella valle La Rioja per un paio di giorni.

Quando ripartì aveva la compagnia di una conchiglia che pendeva dallo zaino.

Da Santiago verso Santiago, un lungo cerchio tracciato sulla sabbia del cammino, la chiave a trovare i misteri che cercavano i templari.

Per bere al calice che tutti credevano dimenticato. Che invece se andava nella direzione opposta.

Forse solo Viola lo aveva capito, in quella notte appoggiata al suo petto, mentre la luna si nascondeva tra le nuvole, o le vesti degli spettri del passato.

domenica 2 gennaio 2011

Sai, Ninin







-è un giorno bellissimo
comincia da un battito.
Le ciglia si aprono
e davanti agli occhi questo spettacolo- F.Renga


1945

La neve era caduta tutta la notte. Silenziosa.

È curioso come si possa capire che nevica dall’assenza di rumori, e dal riverbero particolare della luce fioca dei lampioni sulla strada.

Con questo pensiero Ninin si alzò dal letto, camminò sul pavimento di mattonelle rosse, spiò tra le fessure delle persiane: stava nevicando. Una conferma alla sua muta domanda, o meglio al sospetto che le attraversava i pensieri appena sveglia.

Tutto il gelo salì lungo le caviglie, facendole ricordare che era scalza. Tornò nel letto abbracciando le ginocchia vicino al cuore.

La mattina aveva il sapore di legna bruciata nella stufa, accompagnata dal borbottare dell’acqua nel bollitore per il tè.

La filovia non sarebbe passata.

Ninin guardò l’abete decorato di biscotti alla cannella e mandarini, si avvertiva l’aroma di spezie e agrumi, che evocavano terre tiepide, dove il sole si attardava a lambire il mare, luoghi lontani e stranieri raccontati dal nipote Luigi che a Tripoli era stato prigioniero degli inglesi.

L’occhio cadde sul pacchetto incartato in semplice carta da pacchi, guanti che aveva lavorato a maglia nelle lunghe sere d’autunno, per ricambiare il gesto gentile dell’ispettore della finanza che aveva portato arance e mandarini dal sud.

Già, ma con quella neve la filovia non sarebbe arrivata, lasciando il peso dell’assenza come impronte sulla neve, il chiaro scuro di una vita che chiedeva i vuoti a rendere.

Ninin le mani bianche e le dita affusolate a riempire le carte e i valori bollati, a fare e rifare i conti di una piccola fabbrica di famiglia, i capelli raccolti, come si conveniva, che scioglieva solo la sera, alla presenza di un’immagine sbiadita di una Madonna vestita di azzurro, la sola ammessa a vedere quegli anni farsi maturi e poi prossimi a sfiorire, nell’abito di un lutto già imbastito nell’orlo di un altro, che sì il nero era il colore del tempo.

Stretta in un cappotto lungo, andava alla vicina bottega, in fondo alla strada, pareva un grillo, le braccia esili come zampette a portare i sacchetti della spesa, e le orme sulla neve.

Riposte le provviste nella credenza, ravvivò il fuoco e fissò una ciocca di capelli che dispettosa era scivolata dall’acconciatura.

Un grosso gatto grigio se ne stava appollaiato alla finestra appannando i vetri con il respiro.

Continuava a nevicare.

Mezzogiorno fu annunciato dal lento scandire dei dodici rintocchi.

Davanti ai portoni e nei cortili si spalava la neve.

Ninin rimestava il mestolo nella pentola e distratta guardava fuori dalla finestra, aveva smesso di nevicare, ora un cielo livido come lavanda pesava gravido sui monti e sulle distese bianchissime della campagna.

La ragazza misurava l’attesa in un’equazione con il tempo, le mani strette nella mani e lancette dispettose ad accompagnare i gesti quotidiani.

Il pranzo silenzioso intorno al grande tavolo, ora troppo grande. Ora che i figli di suo fratello si erano fatti grandi, che erano partiti. E il tempo restava come avanzo in una clessidra.

Appassire come un giglio davanti ad un altare, di giorni ad aspettare una lettera, un passo familiare, una voce conosciuta che il solo gioirne la faceva arrossire.

Così se ne andavano gli anni, fatti di speranze tra ricami e merletti chiusi nel vecchio armadio, anche loro, ad aspettare.

Le lancette del campanile alzate come braccia esultanti, dieci minuti alle quattordici, la campana del vespro.

Se ne andava Ninin con il capo coperto dal foulard nero che davvero pareva un grillo, sulla strada che portava in chiesa.

Lo stesso percorso a ritroso.

La casa avvolta nella penombra, già i primi lampioni a gettare luce chiara nel riverbero della neve.

Venti minuti alle diciassette, ora le lancette sembravano braccia arrese di uno spaventapasseri lasciato nei campi.

Lettere mai spedite, parole non dette.

Uno scampanellio destò d’improvviso l’interesse di Ninin, avevano spazzato le strade dalla neve, era il rumore che annunciava la filovia.

Afferrò uno scialle a lo avvolse intorno alle spalle, nello specchio osservò che i capelli fossero in ordine, nell’acconciatura severa. Attese, il tempo di una lettera, di passi, nella giostra di emozioni sentì il colpo del batocchio, che chiamava, urgente, tutto il ritardo e la fretta stava sotto il peso della mano che lo urtò contro il portone.

Aprendo la porta Ninin fu nella falce di luce chiara proveniente dai lampioni, era l’ispettore della finanza che controllava il deposito di zolfo.

Si scusò per l’ora, per il ritardo, per la neve.

Appose le firme al registro. Sorrise.

Ninin gli chiese di aspettare, entrò in cucina, prese il pacco con i guanti e uscì.

Allungò le mani che nel dono sfiorarono quelle di lui.

Poche parole.

Si avviarono alla porta, nell’ombra lui le sfiorò la guancia con un bacio.

Ninin rimase con la mano sulla guancia, come se scottasse di una febbre che anche nei giorni a venire il solo sfiorarla l’avrebbe avvolta come un abbraccio.

Sentì il rumore della filovia che tornava in città e mentre l’orlo nero del vestito raccoglieva fiocchi di neve portò la cesta con la legna vicino alla stufa, dove ora sonnecchiava il gatto grigio.

Una luce chiara ornava la finestra e la cucina sembrava una di quelle palle di cristallo che se agitate fanno cadere una neve finta su un paesaggio naif.

L’attesa aveva lasciato ora il passo al tempo delle domande, impellenti, che si affacciavano al cuore, alle labbra.

E volgeva il capo a sera, di un giorno bellissimo. Bellissimo.