domenica 28 ottobre 2012

Cap Estel



Rose posò una mano sul braccio dell’uomo riscuotendolo dai suoi pensieri. Trascinandolo prepotentemente al presente.
-Sì?- disse lui -cosa stavi dicendo?-
Lei lo guardò preoccupata. -Non ho detto niente. Dove sei andato?-
-Hai sbagliato la domanda: da dove arrivo?-
Si alzò, mise le mani in tasca e si incamminò verso il mare. I fantasmi del passato si agitavano e le streghe danzavano un Sabba su un fuoco mai sopito dove ardevano voci e lamenti e sussurri.
Quell’eco non taceva mai. Una mano scura, l’uomo nero, lo afferrava, a ritorni, come la marea, costringendolo a vedere mille e mille volte lo stesso fotogramma, visto e rivisto, a cercare la chiave, la possibile via di fuga, l’errore. Niente. Niente. Non trovava niente.
Scese lungo la scaletta di pietra, tolse le scarpe, il contatto con i sassolini della spiaggia gli dava un’andatura incerta.
Rose si era alzata, lo seguì con lo sguardo, poi si avviò, percorse il sentiero, scese la scala.
Lui intanto camminava sulla battigia, entrò con i piedi nell’acqua incurante dell’orlo dei pantaloni che andava inzuppandosi.
Lei aumentò il passo, il rumore delle scarpe sulla ghiaia. Si fermò dove il mare lambiva la riva e la linea di sabbia e sassi era umida, il colore appena più scuro a indicare il livello della marea.
Lui si voltò, le andò incontro. Lei lo abbracciò.
-Vai via Rose.- disse senza convinzione.
-No capitano.-
Lui sorrise: -Ti porterò a fondo e non voglio.-
-Non puoi decidere per la mia vita.-
-No. Ma posso darti la possibilità di scegliere.-


sabato 27 ottobre 2012

Villa Bahati

Watamu

Villa Bahati ci accoglieva con i suoi alberi di casuarina e le cascate di bouganvillea, i frangipane occhieggiavano tra le fronde e la strada bianca che dall’ingresso scendeva alla baia di Watamu si parava davanti a noi. Dalla finestra della cucina vedevo le isole e indovinavo la marea.
Quella casa dove si parlava italiano, inglese e swahili, ci ritrovavamo per una promessa fatta, un codice non scritto, ma essere lì era come appoggiare una bandierina, di quelle da cocktail, sulla mappa dei ricordi.
La prima volta che scendemmo sulla spiaggia e l’oceano non c’era, completamente ritirato, l’alta e la bassa marea si alternavano ogni sei ore, avremmo imparato ad apprezzarlo e ad amarlo.
Le onde ruggivano sulla barriera corallina quando si usciva per la pesca d’altura ai merlin.
Rimanemmo fin dopo il tramonto sulla spiaggia, a Shimoni, ad aspettare la luna piena salire dalla linea d’orizzonte sul mare, con i capelli di alghe e di sabbia, lo sguardo al cielo congiungevamo quattro puntini di stelle: la Croce del Sud.
Il chai intorno al fuoco sugli altipiani, il volo concentrico degli avvoltoi ad Amboseli, quello leggiadro dei fenicotteri a Nakuru: quante sfumature può avere il rosa.
Un traghetto per Diani e un ragazzo con la maglietta stinta dei Metallica.
Lamu era l’ultima roccaforte di libertà e alla Malindina brindavamo al nuovo anno.
Così ricordo quegli anni sulla costa.