sabato 28 marzo 2020

Sequel di Parigi-Dakar



Ho pubblicato Parigi-Dakar nel 2012, terminato il contratto con la casa editrice ho deciso di ripubblicarlo come ebook. Tuttavia questo romanzo per anni ha suscitato discussioni, curiosità, c’è chi ha fatto tutta un’analisi psicologica su Luca Borghese. Per questo, per i lettori che già avevano amato e creduto in Parigi-Dakar ecco il sequel di questa storia. O almeno comincia così…


  

Sequel

“Da quando ho memoria di me, io ti ho cercata. Mi era chiaro che tu esistevi, ma non sapevo dove.”
Benjamin Tammuz


3 anni dopo

Viola entrò in casa posando il quotidiano sul comò, osservò le foto, quelle con suo padre, la foto di Luca e le foto della piccola Teresa. Sfiorò con l’indice il volto dell’uomo che aveva amato. Poi si diresse verso la stanza della bambina.
Stava giocando con le bambole e aveva improvvisato un ristorante: piattini, posate, bicchieri erano sparsi qua e là davanti ai peluche.
-Teresa, mettiamo a posto i giochi, così poi usciamo-
La bambina sollevò lo sguardo e sorrise. La somiglianza con Luca era totale, lo stesso taglio degli occhi, il naso, persino il modo di sorridere.
-Mi aiuti?-
Che in gergo infantile va letto: tu fai il lavoro grosso, che io sono stanca.
Viola iniziò a mettere nel cesto i peluche, si chinò per raccogliere un vestitino e la vide: una conchiglia, una di quelle capesante che si usano per gli antipasti.
La girò e il cuore ebbe un sussulto. Era forata in alto e di lato c’era scritto: Ultreya! Suseya!
Il saluto dei pellegrini sulla strada di Santiago, che significa: “forza, che più avanti, più in alto c’è Santiago”. E lei ricordava bene quella conchiglia, non poteva esserci margine d’errore, quella che regalò a Luca si ruppe in un angolo, esattamente come quella.
Si alzò andò in camera sua. Le tramavano le mani, aprì un cassetto, frugò tra le cose contenute, poi si ricordò, attraversò la stanza e prese una scatola, tra le lettere c’era la sua conchiglia. Le avvicinò. Chiuse gli occhi.
-Mamma? Mamma?- la vocina della bambina la riscosse.
Si inginocchiò accanto a lei, prese un respiro e domandò:
-tesoro, dove hai preso questa conchiglia? Te l’ha data Matteo?- cercò di mantenere il tono tranquillo, ma le tremava la voce, aveva formulato l’unica soluzione plausibile alla comparsa della conchiglia.
La bambina scrollò la testa: -no-
-Chi te l’ha data?-
La piccola distese le labbra in un sorriso: -il mio amico grande-
-Quale amico? Quando? Dove?- si accorse che le si stava incrinando la voce, era agitata, non voleva spaventare la piccola.
-Lui è tuo amico, mi domanda di te-
-Va bene Teresa, dove lo hai visto?-
Lei sollevò le spalle: -al parco- disse dopo averci pensato un po’ su.
-Quando ti ha dato questa?- chiese indicando la conchiglia.
-Mamma sei arrabbiata?-
-No, sono un po’ preoccupata, tu non devi parlare con le persone che non conosci-
-Ma io lo conosco, è mio amico e ha chiesto anche di te-
-Ascolta quando ti ha dato la conchiglia?-
-Emm quando ero alla festa con Matteo-
-Va bene, quindi sabato scorso, al parco, e tu ti eri allontanata?-
-No- rispose decisa.
-E ha parlato con altri questo signore?-
-Sì, parlava. Mamma ma mi metterai in punizione?-
-No, piccolina, scusa è che voglio capire-
-Stai tranquilla- e tornò verso la sua cameretta.
Viola si sedette sul letto, in preda a un senso di angoscia.
Prese il telefono e chiamò Matteo.
Gli spiegò la situazione, cercando di mantenere la calma.
-Tu ti sei accorto di qualcosa? Hai visto qualcuno?-
-Viola, la bambina è sempre stata sotto i miei occhi, ha giocato, ha mangiato la torta. C’erano molte persone, ma non si è allontanata e nemmeno mi ha detto nulla-
-Matteo, tu, quella conchiglia- iniziò lei.
-No, no, non ho idea, tra le cose di papà non me la ricordo. Viola non starai pensando che lui, che un fantasma?-
-Non so cosa pensare, forse un mitomane, ma quella era la conchiglia di Luca-
-Viola, ascolta, ci saranno migliaia di conchiglie simili-
-Era la sua-
-Va bene, era la sua. Io non credo agli spiriti e mio padre l’ho visto morire-
-E se non era lui? Il suo viso era sfigurato-
-No, ti prego, fermati, non voglio nemmeno pensare a questa possibilità, perché è da pazzi, perché ne usciremmo devastati, dimentica tutto-
-Non posso, qualcuno ha avvicinato la bambina-
-Va bene, ne parleremo domani-
-Ti aspetto-
-Sì-
Quel pomeriggio faticò non poco a essere serena con la bambina. Era sabato e avevano in programma una passeggiata in campagna da amici che avevano un agriturismo e aveva promesso a Teresa di portarla sul pony.
La campagna intorno a Grasse l’aveva sempre rasserenata, quei giorni di novembre poi conservavano ancora un respiro estivo, anche se le sere si facevano più lunghe e fresche.
Si guardava intorno, come a fugare un pensiero, che le si stava insinuando nel cuore, fatto di “e se…” sapendo bene che avrebbe potuto farsi del male. Osservava le persone intorno al maneggio, teneva d’occhio la piccola e soprattutto cercava. Sì perché nell’assurda ipotesi che si trattasse di Luca lei lo avrebbe capito. E questa consapevolezza la ferì dentro come una spada, ne avvertì tutto il dolore, la solitudine e improvvisa la rabbia. Si avvicinò al recinto dove l’istruttore stava insegnando ai bambini come tenere le redini. Teresa agitò la mano nella sua direzione. Lei ricambiò il saluto. La rabbia non aveva senso. Perché lui le aveva lasciato un testamento e lei aveva fatto una scelta. Se Luca non fosse morto non poteva certo prendersela con lui per averla lasciata sola.
Con questi pensieri rientrò a casa la sera.
Il giorno dopo Matteo arrivò presto. Viola e Teresa stavano facendo colazione. Si sedette al tavolo con loro.
-Ieri siamo andate al maneggio- disse Viola scompigliando i capelli di Teresa.
-Sì, mamma ha fatto le foto, dov’è il tuo cellulare?- la bambina si guardò intorno, poi intercettò il telefono, scese dallo sgabello e iniziò a sfogliare le immagini.
-Guarda Matteo- cinguettò mostrandogli orgogliosa una foto mentre teneva le redini da sola.
-Brava, piccolina-
La bambina poi si spostò verso il patio dove andò a sedersi su una poltroncina, giocando con un’ applicazione sul telefono.
-Hai il viso di chi non ha dormito- iniziò Matteo.
Viola si versò dell’altro caffè -mi sono svegliata alle tre e non ho più preso sonno-
-Hai la conchiglia?-
-Sì-
La donna attraversò il salone e prese la conchiglia che era appoggiata sul comò. Tornò lentamente in cucina.
Matteo osservò la conchiglia, poi disse: -sei sicura Viola? Non è che la suggestione ti sta giocando brutti scherzi?-
-Matteo, è la conchiglia dei pellegrini che regalai a tuo padre. Mettiamo che sia come dici tu, resta il fatto che qualcuno ha avvicinato la bambina-
-Sì, questo mi spaventa. Ma credimi non ho notato nulla di strano. Tu pensi che se mio padre fosse stato lì non lo avrei riconosciuto?-
-Non so cosa pensare-
-Perché se fosse così, questa volta non glielo perdonerò. Non gli perdonerò di avermi abbandonato un’altra volta- Matteo aveva parlato con un tono duro, tuttavia se ne avvertiva anche il dolore profondo, l’ansia, la paura.
La giornata trascorse serena, decisero di attendere, di vedere se qualcosa accadeva, senza assillare la bambina e senza farsi prendere da illusioni o facili entusiasmi.
Nei giorni seguenti non accadde nulla di nuovo. Poi una telefonata. Da Parigi.
-Mademoiselle Macallè sono Duval, dall’hotel de la Bretonnerie-
Silenzio, quelle parole rimasero a galleggiare per alcuni secondi.
-Pronto? Signorina?-
-Sì, ci sono. Mi dica-
L’uomo tossicchiò, poi disse: -c’è una lettera per lei. Non reca mittente. Il timbro postale è di Dakar. Mi domandavo, vuole che la spedisca o pensa di venire a Parigi a ritirarla personalmente?-
Tutto il discorso se ascoltato da non addetti ai lavori aveva dell’assurdo, il contesto poteva sembrare quello di un ufficio postale e non di un albergo. Ma quell’albergo era sempre stato per lei e Luca “casa”, una sorta di fermo posta dove lasciare messaggi.
Parigi-Dakar, fermo posta Hotel de Ville. Un gioco solo loro, un segreto. Ora dopo tre anni arrivava una lettera. Da Dakar per giunta. Per lei.
Viola osservò il calendario: -prendo un volo in serata-
-Bene, le riservo una stanza-
-Monsieur Duval… grazie-
-Dovere mademoiselle-
Viola cercò di restare calma. Chiamò l’agenzia per prenotare i biglietti aerei. Poi informò Matteo che sarebbe andata a Parigi per un paio di giorni.
-C’è la signora Lidia con Teresa?- domandò il ragazzo.
-Sì, sì-
-Va bene, magari passo dopo cena-
-Grazie, io torno domani nel pomeriggio-
-Viola?-
-Sì?-
-Non sono fatti miei ma perché questo viaggio improvviso?-
La donna sospirò, non poteva tenerlo all’oscuro: -è arrivata una lettera per me. Da Dakar-
Lui imprecò: -scusa, non volevo. Lo so che non mi ascolterai, ma ti prego stai attenta, questa storia non mi piace. Viola vuoi dirmi che sta succedendo?-
-Non lo so. Davvero Matteo non lo so. Ora lasciami andare. Tra due ore ho il volo da Cannes-
-Ci vediamo domani-
-Sì. E te lo prometto, starò attenta-
Alcune ore dopo un taxi si fermava davanti all’Hotel de la Bretonnerie. Viola pagò e scese. Rimase alcuni minuti davanti all’ingresso, in compagnia dei suoi pensieri, dei ricordi, degli spettri e dei fantasmi. Poi camminò lentamente verso la porta girevole.
L’uomo al banco della reception si era fatto più anziano. Sollevò lo sguardo e le sorrise, andandole incontro. La abbracciò. Non c’era bisogno di parole, il tempo era trascorso e quel posto restava sempre un riparo per l’anima.
-Vi trovo bene- disse l’uomo.
-Grazie, anche voi-
-Queste sono le chiavi della sua stanza e questa- disse tirando fuori da un cassetto una busta gialla -è la sua lettera-
-Grazie- disse lei prendendo la missiva rigirandola tra le mani.
-La colazione alle otto?- domandò premuroso l’uomo.
-Sì. Grazie monsieur Duval. Buona Notte-
Lui fece un impercettibile inchino con il capo:
-buona notte-
La donna di diresse verso la stanza. Prima di aprire la porta chiuse gli occhi e tornò con il pensiero a Luca, lo vide sorriderle, in controluce davanti alla finestra, avvertì il tocco delle sue mani, le sembrò quasi di sentirne il profumo, se lo puoi immaginare, può succedere. Bisogna credere, non perdere mai la speranza.

Domanda, credici, preparati a ricevere.

Entrò nella stanza. Accese le luci. Si tolse le scarpe e si sedette sul letto. La grafia non la riconosceva, il timbro postale era di Dakar. Aprì la busta.



Gentilissima Signorina Macallè,
mi rendo conto che ricevere questa lettera potrà essere per lei il rinnovo di una grande sofferenza.
Ci siamo conosciuti anni fa in merito alla Dakar, ero uno dei collaboratori dell’organizzazione.
Perdoni il modo di contattarla attraverso l’hotel parigino de la Bretonnerie, è necessaria da parte sua e nostra di mantenere il più stretto riserbo in merito alla situazione.
Le allego tre biglietti aerei per Dakar, per lei, per sua figlia Teresa e per Matteo Borghese. Mi rendo conto che potreste scegliere di non accettare, tuttavia ho fissato un incontro per il sei dicembre prossimo nell’ambasciata francese di Dakar. La prego di non mettersi in contatto con me in altro modo e di non diffondere il contenuto di questa lettera, qualora sceglieste di non accettare l’invito, dimenticate questa richiesta e in futuro non ci saranno ulteriori proposte di incontro. Le dico solo di fidarsi di me.
Rich Garroni

Quell’uomo era il padre di Maryel e l’amministratore di un’importante raffineria di petrolio che era stata sponsor del team di Luca.
Lesse e rilesse la lettera. Così fece con lei anche Matteo nei giorni seguenti.
-Non abbiamo nessuna certezza, come fai a fidarti di quello che ha scritto? E poi in questo modo, così, così contorto-
-Tuo padre era così, se voleva che mi fidassi doveva fare qualcosa per cui io fossi portata a credere-
-Tu credi che sia vivo?-
-Lo vorrei disperatamente-
-Se fosse una cosa pericolosa?-
-Andiamo in ambasciata, non porterei mai la bambina se non fossi tranquilla-
-Cosa le dirai? Se lui, se insomma. Oddio mi viene da vomitare al pensiero che possa aver fatto una cosa simile, darsi morto. No io non ce la faccio Viola-
La donna lo prese per le spalle scuotendolo dolcemente:
-Matteo, tu sei figlio di un corridore, di un pilota che non aveva paura di niente, io mi sono fidata a dargli una figlia che ha imparato ad amare un volto in una fotografia, che non sa bene dove sia quell’uomo. Ma sa che è suo padre. Ti prego, abbi fiducia-
Alla fine Matteo capitolò. Partirono.
Dakar li accolse con il suo caleidoscopio di colori, con i contrasti di capanne e grattacieli. Teresa era entusiasta, Matteo era teso. Viola aveva un’espressione inafferrabile, sicuramente aveva dormito poco e si vedeva dai tratti del viso, tirati, dalla ruga che le si formava sulla fronte. Tuttavia c’era qualcosa, una dolcezza nello sguardo, una forza, come chi sa un segreto e lo custodisce e ci crede.
Il taxi li condusse dall’aeroporto in ambasciata. L’aria era calda. Piacevole. Il giardino era un’esplosione di colori sgargianti dei fiori.
Vennero accompagnati in una grande sala, ad attenderli c’era Rich Garroni, il console francese e un militare, un colonnello.
Dopo le formalità di rito del console, Rich prese la parola.
-Vi siamo grati per la vostra disponibilità, per questo viaggio e per la fiducia-
-Ora vogliamo sapere perché tutto questo- lo interruppe Matteo.
-Certo ragazzo. Ora il colonnello vi spiegherà-
-Penso che voi conosciate quello che viene definito come “primavera araba”, ci sono persone che hanno combattuto in Mauritania, Algeria, Libano, Tunisia pur non essendo di queste terre ma perché hanno sposato la causa di questi popoli. Persone che hanno combattuto nelle file dell’ ESL, l’esercito siriano libero nelle battaglie di Aleppo e Damasco. La battaglia di Aleppo del 19 luglio 2012 è conosciuta come la madre di tutte le battaglie. Ci sono circostanze e scelte di vita che io non vi posso spiegare, ma alcune scelte implicano una serie di rinunce, dolorose anche, condannabili, se non se ne conoscono le cause che le sottendono. Luca Borghese è uno di questi uomini che ha fatto questa scelta-
Viola si portò le mani alla bocca.
-Lo sapevo- disse Matteo in un sospiro.
-Dov’è Luca?-
A volte per anni aspettiamo una risposta, che non arriva, forse dovremmo cambiare la domanda.
Viola non aveva chiesto “perché?” o “cosa è successo?” o “Luca allora non è morto? E se non è morto chi era in quell’auto alla Dakar?”. No, aveva solo chiesto “dov’è?”
Il militare si avvicinò a una porta e la socchiuse facendo un cenno a Viola e Matteo.
La donna aveva Teresa in braccio.
Si avvicinarono alla porta. Entrarono nella stanza.
C’era un uomo accanto alla finestra, era in controluce non si poteva vedere bene il volto, ma non c’erano dubbi, quell’uomo era Luca Borghese.
Viola posò a terra Teresa, inginocchiandosi accanto a lei.
Matteo attraversò la stanza, quando gli fu accanto e lo riconobbe, invecchiato, con una cicatrice sulla fronte, alzò un braccio per colpirlo e rimase così scoppiando in singhiozzi.
L’uomo lo abbracciò.
-Mamma chi è quel signore? Perché Matteo piange?-
-Tesoro, ti ricordi la fotografia sul comò? Quella di papà? Lui è papà-
La bambina sorrise: -papà- gridò andandogli incontro.
Luca si staccò da Matteo. Gli occhi lucidi, guardò Viola, poi spalancò le braccia, prese in braccio la bambina facendola girare. Sembrava una farfalla.
In fondo non era forse così? In quella terra di Provenza, che i bruchi si trasformano in farfalle?





(Ndr) Sono Luca Borghese, so di avervi lasciato tante domande e che c’è un buco di tre anni nella mia vita. Se avrete pazienza un giorno ve li racconterò. In un libro. Ora da Dakar voglio solo tornare a casa.

Dakar. Lago Rosa.
Mali.
500 chilometri in Mauritania, dove c’è un paletto di ferro ogni cinque chilometri, è la strada da seguire.
Marocco.
Traversata notturna.
Nord-Est per Almeria (Spagna).
Rossiglione.
Parigi.

Sembra facile