Sequel di Parigi-Dakar
Ho pubblicato Parigi-Dakar nel
2012, terminato il contratto con la casa editrice ho deciso di ripubblicarlo
come ebook. Tuttavia questo romanzo per anni ha suscitato discussioni,
curiosità, c’è chi ha fatto tutta un’analisi psicologica su Luca Borghese. Per
questo, per i lettori che già avevano amato e creduto in Parigi-Dakar ecco il
sequel di questa storia. O almeno comincia così…
Sequel
“Da quando ho memoria di
me, io ti ho cercata. Mi era chiaro che tu esistevi, ma non sapevo dove.”
Benjamin Tammuz
3 anni dopo
Viola entrò in casa posando il
quotidiano sul comò, osservò le foto, quelle con suo padre, la foto di Luca e
le foto della piccola Teresa. Sfiorò con l’indice il volto dell’uomo che aveva
amato. Poi si diresse verso la stanza della bambina.
Stava giocando con le bambole e
aveva improvvisato un ristorante: piattini, posate, bicchieri erano sparsi qua
e là davanti ai peluche.
-Teresa, mettiamo a posto i
giochi, così poi usciamo-
La bambina sollevò lo sguardo e
sorrise. La somiglianza con Luca era totale, lo stesso taglio degli occhi, il
naso, persino il modo di sorridere.
-Mi aiuti?-
Che in gergo infantile va letto:
tu fai il lavoro grosso, che io sono stanca.
Viola iniziò a mettere nel cesto
i peluche, si chinò per raccogliere un vestitino e la vide: una conchiglia, una
di quelle capesante che si usano per gli antipasti.
La girò e il cuore ebbe un
sussulto. Era forata in alto e di lato c’era scritto: Ultreya! Suseya!
Il saluto dei pellegrini sulla
strada di Santiago, che significa: “forza, che più avanti, più in alto c’è
Santiago”. E lei ricordava bene quella conchiglia, non poteva esserci margine
d’errore, quella che regalò a Luca si ruppe in un angolo, esattamente come
quella.
Si alzò andò in camera sua. Le
tramavano le mani, aprì un cassetto, frugò tra le cose contenute, poi si
ricordò, attraversò la stanza e prese una scatola, tra le lettere c’era la sua
conchiglia. Le avvicinò. Chiuse gli occhi.
-Mamma? Mamma?- la vocina della
bambina la riscosse.
Si inginocchiò accanto a lei,
prese un respiro e domandò:
-tesoro, dove hai preso questa
conchiglia? Te l’ha data Matteo?- cercò di mantenere il tono tranquillo, ma le
tremava la voce, aveva formulato l’unica soluzione plausibile alla comparsa
della conchiglia.
La bambina scrollò la testa: -no-
-Chi te l’ha data?-
La piccola distese le labbra in
un sorriso: -il mio amico grande-
-Quale amico? Quando? Dove?- si
accorse che le si stava incrinando la voce, era agitata, non voleva spaventare
la piccola.
-Lui è tuo amico, mi domanda di
te-
-Va bene Teresa, dove lo hai
visto?-
Lei sollevò le spalle: -al parco-
disse dopo averci pensato un po’ su.
-Quando ti ha dato questa?-
chiese indicando la conchiglia.
-Mamma sei arrabbiata?-
-No, sono un po’ preoccupata, tu
non devi parlare con le persone che non conosci-
-Ma io lo conosco, è mio amico e
ha chiesto anche di te-
-Ascolta quando ti ha dato la
conchiglia?-
-Emm quando ero alla festa con
Matteo-
-Va bene, quindi sabato scorso, al
parco, e tu ti eri allontanata?-
-No- rispose decisa.
-E ha parlato con altri questo
signore?-
-Sì, parlava. Mamma ma mi
metterai in punizione?-
-No, piccolina, scusa è che
voglio capire-
-Stai tranquilla- e tornò verso
la sua cameretta.
Viola si sedette sul letto, in
preda a un senso di angoscia.
Prese il telefono e chiamò
Matteo.
Gli spiegò la situazione,
cercando di mantenere la calma.
-Tu ti sei accorto di qualcosa?
Hai visto qualcuno?-
-Viola, la bambina è sempre stata
sotto i miei occhi, ha giocato, ha mangiato la torta. C’erano molte persone, ma
non si è allontanata e nemmeno mi ha detto nulla-
-Matteo, tu, quella conchiglia-
iniziò lei.
-No, no, non ho idea, tra le cose
di papà non me la ricordo. Viola non starai pensando che lui, che un fantasma?-
-Non so cosa pensare, forse un
mitomane, ma quella era la conchiglia di Luca-
-Viola, ascolta, ci saranno
migliaia di conchiglie simili-
-Era la sua-
-Va bene, era la sua. Io non
credo agli spiriti e mio padre l’ho visto morire-
-E se non era lui? Il suo viso
era sfigurato-
-No, ti prego, fermati, non
voglio nemmeno pensare a questa possibilità, perché è da pazzi, perché ne
usciremmo devastati, dimentica tutto-
-Non posso, qualcuno ha
avvicinato la bambina-
-Va bene, ne parleremo domani-
-Ti aspetto-
-Sì-
Quel pomeriggio faticò non poco a
essere serena con la bambina. Era sabato e avevano in programma una passeggiata
in campagna da amici che avevano un agriturismo e aveva promesso a Teresa di
portarla sul pony.
La campagna intorno a Grasse
l’aveva sempre rasserenata, quei giorni di novembre poi conservavano ancora un
respiro estivo, anche se le sere si facevano più lunghe e fresche.
Si guardava intorno, come a
fugare un pensiero, che le si stava insinuando nel cuore, fatto di “e se…”
sapendo bene che avrebbe potuto farsi del male. Osservava le persone intorno al
maneggio, teneva d’occhio la piccola e soprattutto cercava. Sì perché
nell’assurda ipotesi che si trattasse di Luca lei lo avrebbe capito. E questa
consapevolezza la ferì dentro come una spada, ne avvertì tutto il dolore, la
solitudine e improvvisa la rabbia. Si avvicinò al recinto dove l’istruttore
stava insegnando ai bambini come tenere le redini. Teresa agitò la mano nella
sua direzione. Lei ricambiò il saluto. La rabbia non aveva senso. Perché lui le
aveva lasciato un testamento e lei aveva fatto una scelta. Se Luca non fosse
morto non poteva certo prendersela con lui per averla lasciata sola.
Con questi pensieri rientrò a
casa la sera.
Il giorno dopo Matteo arrivò
presto. Viola e Teresa stavano facendo colazione. Si sedette al tavolo con
loro.
-Ieri siamo andate al maneggio-
disse Viola scompigliando i capelli di Teresa.
-Sì, mamma ha fatto le foto,
dov’è il tuo cellulare?- la bambina si guardò intorno, poi intercettò il
telefono, scese dallo sgabello e iniziò a sfogliare le immagini.
-Guarda Matteo- cinguettò
mostrandogli orgogliosa una foto mentre teneva le redini da sola.
-Brava, piccolina-
La bambina poi si spostò verso il
patio dove andò a sedersi su una poltroncina, giocando con un’ applicazione sul
telefono.
-Hai il viso di chi non ha
dormito- iniziò Matteo.
Viola si versò dell’altro caffè
-mi sono svegliata alle tre e non ho più preso sonno-
-Hai la conchiglia?-
-Sì-
La donna attraversò il salone e
prese la conchiglia che era appoggiata sul comò. Tornò lentamente in cucina.
Matteo osservò la conchiglia, poi
disse: -sei sicura Viola? Non è che la suggestione ti sta giocando brutti
scherzi?-
-Matteo, è la conchiglia dei
pellegrini che regalai a tuo padre. Mettiamo che sia come dici tu, resta il
fatto che qualcuno ha avvicinato la bambina-
-Sì, questo mi spaventa. Ma
credimi non ho notato nulla di strano. Tu pensi che se mio padre fosse stato lì
non lo avrei riconosciuto?-
-Non so cosa pensare-
-Perché se fosse così, questa
volta non glielo perdonerò. Non gli perdonerò di avermi abbandonato un’altra
volta- Matteo aveva parlato con un tono duro, tuttavia se ne avvertiva anche il
dolore profondo, l’ansia, la paura.
La giornata trascorse serena,
decisero di attendere, di vedere se qualcosa accadeva, senza assillare la
bambina e senza farsi prendere da illusioni o facili entusiasmi.
Nei giorni seguenti non accadde
nulla di nuovo. Poi una telefonata. Da Parigi.
-Mademoiselle Macallè sono Duval,
dall’hotel de la Bretonnerie-
Silenzio, quelle parole rimasero
a galleggiare per alcuni secondi.
-Pronto? Signorina?-
-Sì, ci sono. Mi dica-
L’uomo tossicchiò, poi disse:
-c’è una lettera per lei. Non reca mittente. Il timbro postale è di Dakar. Mi
domandavo, vuole che la spedisca o pensa di venire a Parigi a ritirarla
personalmente?-
Tutto il discorso se ascoltato da
non addetti ai lavori aveva dell’assurdo, il contesto poteva sembrare quello di
un ufficio postale e non di un albergo. Ma quell’albergo era sempre stato per
lei e Luca “casa”, una sorta di fermo posta dove lasciare messaggi.
Parigi-Dakar, fermo posta Hotel
de Ville. Un gioco solo loro, un segreto. Ora dopo tre anni arrivava una
lettera. Da Dakar per giunta. Per lei.
Viola osservò il calendario:
-prendo un volo in serata-
-Bene, le riservo una stanza-
-Monsieur Duval… grazie-
-Dovere mademoiselle-
Viola cercò di restare calma.
Chiamò l’agenzia per prenotare i biglietti aerei. Poi informò Matteo che
sarebbe andata a Parigi per un paio di giorni.
-C’è la signora Lidia con
Teresa?- domandò il ragazzo.
-Sì, sì-
-Va bene, magari passo dopo cena-
-Grazie, io torno domani nel
pomeriggio-
-Viola?-
-Sì?-
-Non sono fatti miei ma perché
questo viaggio improvviso?-
La donna sospirò, non poteva
tenerlo all’oscuro: -è arrivata una lettera per me. Da Dakar-
Lui imprecò: -scusa, non volevo.
Lo so che non mi ascolterai, ma ti prego stai attenta, questa storia non mi
piace. Viola vuoi dirmi che sta succedendo?-
-Non lo so. Davvero Matteo non lo
so. Ora lasciami andare. Tra due ore ho il volo da Cannes-
-Ci vediamo domani-
-Sì. E te lo prometto, starò
attenta-
Alcune ore dopo un taxi si
fermava davanti all’Hotel de la Bretonnerie. Viola pagò e scese. Rimase alcuni
minuti davanti all’ingresso, in compagnia dei suoi pensieri, dei ricordi, degli
spettri e dei fantasmi. Poi camminò lentamente verso la porta girevole.
L’uomo al banco della reception
si era fatto più anziano. Sollevò lo sguardo e le sorrise, andandole incontro.
La abbracciò. Non c’era bisogno di parole, il tempo era trascorso e quel posto
restava sempre un riparo per l’anima.
-Vi trovo bene- disse l’uomo.
-Grazie, anche voi-
-Queste sono le chiavi della sua
stanza e questa- disse tirando fuori da un cassetto una busta gialla -è la sua
lettera-
-Grazie- disse lei prendendo la
missiva rigirandola tra le mani.
-La colazione alle otto?- domandò
premuroso l’uomo.
-Sì. Grazie monsieur Duval. Buona
Notte-
Lui fece un impercettibile
inchino con il capo:
-buona notte-
La donna di diresse verso la
stanza. Prima di aprire la porta chiuse gli occhi e tornò con il pensiero a
Luca, lo vide sorriderle, in controluce davanti alla finestra, avvertì il tocco
delle sue mani, le sembrò quasi di sentirne il profumo, se lo puoi immaginare,
può succedere. Bisogna credere, non perdere mai la speranza.
Domanda, credici, preparati a ricevere.
Entrò nella stanza. Accese le
luci. Si tolse le scarpe e si sedette sul letto. La grafia non la riconosceva,
il timbro postale era di Dakar. Aprì la busta.
Gentilissima Signorina Macallè,
mi rendo conto che ricevere questa lettera potrà essere per lei il
rinnovo di una grande sofferenza.
Ci siamo conosciuti anni fa in merito alla Dakar, ero uno dei
collaboratori dell’organizzazione.
Perdoni il modo di contattarla attraverso l’hotel parigino de la
Bretonnerie, è necessaria da parte sua e nostra di mantenere il più stretto
riserbo in merito alla situazione.
Le allego tre biglietti aerei per Dakar, per lei, per sua figlia Teresa
e per Matteo Borghese. Mi rendo conto che potreste scegliere di non accettare,
tuttavia ho fissato un incontro per il sei dicembre prossimo nell’ambasciata
francese di Dakar. La prego di non mettersi in contatto con me in altro modo e
di non diffondere il contenuto di questa lettera, qualora sceglieste di non
accettare l’invito, dimenticate questa richiesta e in futuro non ci saranno
ulteriori proposte di incontro. Le dico solo di fidarsi di me.
Rich Garroni
Quell’uomo era il padre di Maryel
e l’amministratore di un’importante raffineria di petrolio che era stata
sponsor del team di Luca.
Lesse e rilesse la lettera. Così fece
con lei anche Matteo nei giorni seguenti.
-Non abbiamo nessuna certezza,
come fai a fidarti di quello che ha scritto? E poi in questo modo, così, così
contorto-
-Tuo padre era così, se voleva
che mi fidassi doveva fare qualcosa per cui io fossi portata a credere-
-Tu credi che sia vivo?-
-Lo vorrei disperatamente-
-Se fosse una cosa pericolosa?-
-Andiamo in ambasciata, non
porterei mai la bambina se non fossi tranquilla-
-Cosa le dirai? Se lui, se
insomma. Oddio mi viene da vomitare al pensiero che possa aver fatto una cosa
simile, darsi morto. No io non ce la faccio Viola-
La donna lo prese per le spalle
scuotendolo dolcemente:
-Matteo, tu sei figlio di un
corridore, di un pilota che non aveva paura di niente, io mi sono fidata a
dargli una figlia che ha imparato ad amare un volto in una fotografia, che non
sa bene dove sia quell’uomo. Ma sa che è suo padre. Ti prego, abbi fiducia-
Alla fine Matteo capitolò.
Partirono.
Dakar li accolse con il suo
caleidoscopio di colori, con i contrasti di capanne e grattacieli. Teresa era
entusiasta, Matteo era teso. Viola aveva un’espressione inafferrabile,
sicuramente aveva dormito poco e si vedeva dai tratti del viso, tirati, dalla
ruga che le si formava sulla fronte. Tuttavia c’era qualcosa, una dolcezza
nello sguardo, una forza, come chi sa un segreto e lo custodisce e ci crede.
Il taxi li condusse
dall’aeroporto in ambasciata. L’aria era calda. Piacevole. Il giardino era
un’esplosione di colori sgargianti dei fiori.
Vennero accompagnati in una
grande sala, ad attenderli c’era Rich Garroni, il console francese e un
militare, un colonnello.
Dopo le formalità di rito del
console, Rich prese la parola.
-Vi siamo grati per la vostra
disponibilità, per questo viaggio e per la fiducia-
-Ora vogliamo sapere perché tutto
questo- lo interruppe Matteo.
-Certo ragazzo. Ora il colonnello
vi spiegherà-
-Penso che voi conosciate quello
che viene definito come “primavera araba”, ci sono persone che hanno combattuto
in Mauritania, Algeria, Libano, Tunisia pur non essendo di queste terre ma
perché hanno sposato la causa di questi popoli. Persone che hanno combattuto
nelle file dell’ ESL, l’esercito siriano libero nelle battaglie di Aleppo e
Damasco. La battaglia di Aleppo del 19 luglio 2012 è conosciuta come la madre
di tutte le battaglie. Ci sono circostanze e scelte di vita che io non vi posso
spiegare, ma alcune scelte implicano una serie di rinunce, dolorose anche,
condannabili, se non se ne conoscono le cause che le sottendono. Luca Borghese
è uno di questi uomini che ha fatto questa scelta-
Viola si portò le mani alla
bocca.
-Lo sapevo- disse Matteo in un
sospiro.
-Dov’è Luca?-
A volte per anni aspettiamo una
risposta, che non arriva, forse dovremmo cambiare la domanda.
Viola non aveva chiesto “perché?”
o “cosa è successo?” o “Luca allora non è morto? E se non è morto chi era in
quell’auto alla Dakar?”. No, aveva solo chiesto “dov’è?”
Il militare si avvicinò a una
porta e la socchiuse facendo un cenno a Viola e Matteo.
La donna aveva Teresa in braccio.
Si avvicinarono alla porta. Entrarono
nella stanza.
C’era un uomo accanto alla
finestra, era in controluce non si poteva vedere bene il volto, ma non c’erano
dubbi, quell’uomo era Luca Borghese.
Viola posò a terra Teresa,
inginocchiandosi accanto a lei.
Matteo attraversò la stanza,
quando gli fu accanto e lo riconobbe, invecchiato, con una cicatrice sulla
fronte, alzò un braccio per colpirlo e rimase così scoppiando in singhiozzi.
L’uomo lo abbracciò.
-Mamma chi è quel signore? Perché
Matteo piange?-
-Tesoro, ti ricordi la fotografia
sul comò? Quella di papà? Lui è papà-
La bambina sorrise: -papà- gridò
andandogli incontro.
Luca si staccò da Matteo. Gli
occhi lucidi, guardò Viola, poi spalancò le braccia, prese in braccio la
bambina facendola girare. Sembrava una farfalla.
In fondo non era forse così? In
quella terra di Provenza, che i bruchi si trasformano in farfalle?
(Ndr) Sono Luca Borghese, so di
avervi lasciato tante domande e che c’è un buco di tre anni nella mia vita. Se
avrete pazienza un giorno ve li racconterò. In un libro. Ora da Dakar voglio solo
tornare a casa.
Dakar. Lago Rosa.
Mali.
500 chilometri in Mauritania,
dove c’è un paletto di ferro ogni cinque chilometri, è la strada da seguire.
Marocco.
Traversata notturna.
Nord-Est per Almeria (Spagna).
Rossiglione.
Parigi.
Sembra facile