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sabato 26 novembre 2016

ciao Fidel


 
La storia la fanno gli uomini, solo loro sanno come sono andate davvero le cose.
Una lingua di terra e un pugno di uomini hanno tenuto in scacco il mondo.
Il bene e il male, dove finisce la giustizia e dove c'è l'ingiustizia, Cuba in bianco e nero: l'isola della canna da zucchero e del rum, delle auto antiche, del Malecòn, senza di te, Fidel, cambierà tutto...
 
"Condemm me.
It does not matter.
History will absolve me."
 
Fidel Castro

venerdì 25 novembre 2011

Nata libera


-Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima- Ligabue






-Informiamo i signori passeggeri che l’imbarco del volo 6221 è stato spostato al gate nove-

Ascolto l’annuncio diffuso in aeroporto. La commessa mette i miei acquisti nella busta trasparente e timbra la carta d’imbarco.

Ci sono cose che accadono perché è scritto. Perché lo sapevi. E sono spesso una variabile imprevista nella tua vita. Quando tutto sembra ormai posto su rotte tranquille, quando il pensiero è libero da legami malsani, come febbre di malaria. Accade.

Una mano sul mio braccio. Un volto. La variabile indipendente. Ci sono tanti modi di essere vittime di noi stessi e tanti modi per definire uno stato di malattia che inquina il nostro pensare, chiudendoci in una rete a maglie strette.

-Posso parlarti?- La domanda è semplice, ma apre una serie di porte e di emozioni, rompendo l’argine di ricordi ben catalogati e conservati. Da rivedere quando si ha voglia. Come un album di fotografie. Lì in quel momento non volevo. Tuttavia non avevo scelta.

La mano sul braccio. Guardai il tabellone delle partenze.

Il tempo di un caffè. Nell’equilibrio precario e instabile di un gioco fatto con i bastoncini da Shangai. Immobile il mio pensiero, mentre intorno a me tutto continuava a muoversi.

Frazioni di secondi che sembrano anni, un lampo nel cielo, l’attesa che si fermi la pallina della roulette, adrenalina. E ti sembra che la vita ti passi davanti.

-Informiamo che è iniziato l’imbarco del volo 6221.- e a seguire le procedure richieste per l’imbarco.

La mano ancora lì, sul braccio, la domanda nell’aria, il passato mescolato al presente.

La mia scelta è un no. Negazione, chiusura, fine. E non avverto la drammaticità del primo istante dopo, l’elaborazione del dolore, il vuoto. È un no che mi libera.

Chiamano il mio nome per l’imbarco immediato.

Ora non ho più la mano sul braccio. Solo una voce che chiama il mio nome.

Alzo il passaporto e la carta d’imbarco, mi fanno passare. Il gate è aperto hanno fatto l’ultima chiamata con il mio nome.

La hostess controlla i documenti e percorro il braccio del finger che mi separa dall’aereo.

Mi siedo. Nell’attimo esatto in cui l’aereo stacca da terra mi sento libera.

C’è un posto, dove sto andando, che si chiama Elsa Mere.

Perché in fondo, io so, che sono nata libera.

lunedì 15 agosto 2011

Watamu beach, maisha marefu

"Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato
il mare eh!"D.Modugno


La sera all’equatore arriva sempre così, improvvisa, senza darti il tempo del tramonto e poi del crepuscolo. Qui è giorno ed è notte 12 ore al giorno, né una di più, né una di meno.

Lo sguardo inciampa su Aldebaran,una stella che portiamo tra libri e ricordi

Sulla terrazza osservo il giardino, gli alberi di casuarina e giù sullo sfondo l’oceano.

Lo sento ruggire contro la barriera corallina, la marea si è alzata. Anche le maree qui si inseguono, ogni sei ore, l’oceano arriva e copre tutto o si ritrae così lontano che non sembra più minaccioso e allora nelle pozze lascia scoperti piccoli cammei: stelle marine, conchiglie, ricci striati.

E i due isolotti che caratterizzano l’orizzonte, come il monte Elicona, hanno un fascino misterioso.

Vedo alcune persone rientrare dalla spiaggia, giù per la strada bianca di polvere.

Elisa mi raggiunge in terrazza.

-Allora domani arriveranno tutti, l’aereo dovrebbe atterrare a Mombasa alle 9-

-Sono già decollati?-

-Stavano imbarcando-

Villa Bahati è il nostro porto. Ci torniamo, a ondate, in tempi diversi, ma ci torniamo, qualcuno forse solo con il pensiero.

Elisa mette un cd, e le note dei violini dell’overtoure della Traviata riempiono l’aria della sera.

Le volpi volanti sono ombre nel buio, furtive che appena sono raccolte dallo sguardo già ne escono.

-Ti ricordi i pipistrelli giù a Wasini?- le chiedo.

-E come no, sembrava un film dell’orrore-

-Esagerata-

-Ma ti ricordi Marco che si rifiutò di entrare nel ristorante e mangiò i suoi crabs sulla spiaggia?- dice.

È curioso come di alcuni di noi resta un’immagine qualcosa che ci lega a un ricordo che evocato ti fa subito ricollegare fatti e persone.

Un aereo solcava il cielo quasi buio. Per un po’ ne seguii la scia. Posta esattamente sotto la luna piena: come il segno di un gesso sulla lavagna.

-Lo sai che la scia degli aerei è fatta di ghiaccio?-

-Ah, no, non ci avevo mai pensato- risponde Elisa.

Curioso. Non pensavo di aver parlato a voce alta.

-E chi te l’ha detto?-

-Un amico, tempo fa. Ogni volta che vedo quelle scie nel cielo mi viene in mente-

Il vento tra le foglie delle palme.

La musica arriva fino a noi è di Violetta quell’addio.

Un po’ come sul monte di Elicona tengo nell’abbraccio il presente come una conchiglia che del mare ne riporta il rumore, ancora e ancora.

-Per il dolce- inizia titubante Elisa -il rum dovrebbero portarlo domani-

-E voglio sperare, come si fa a fare il babà senza rum, poi Gino chi lo sente. Havana Club?-

-Il rum è rum- risponde lei.

-No, il rum è Havana Club- conclude con me.

-Come il basilico deve essere a foglia piccola- mi prende in giro.

Ridiamo.

È il tempo dei frangipane, di un capodanno fuori stagione, che solo noi sappiamo perché.

È notte, qui a Watamu. Una bottiglia di vino del Sud Africa. I calici, le candele, le tovaglie.

Maisha marefu








sabato 13 agosto 2011

Mi Ida


-Non era per niente male, lo sguardo, soprattutto, o piuttosto quel modo tutto suo di guardare- Aleida March

(a proposito del Che)

Mi Ida

che sfiori i miei capelli di alghe,

tra pensieri di sabbia,

verticali vertigini vergini

le isole sull’orizzonte.

Mi Ida

frange di palma le tue ciglia,

a schiudere delle perle gli occhi.

L’isola chiusa tra mare e oceano.

Così dicevi su quell’isola che rinasceva la notte tra le tue parole e i tuoi sogni.

Mi Ida

sabato 23 luglio 2011

Buena Vista Social Club













«Vieni con me a Cuba» disse Marco.

«Perché?» replicò Margherita.

Marco scosse la testa alzandosi. Lei lo seguì

«Scusami, rifammi la domanda»

«Vieni con me a Cuba?»

«Sì»

Lo specchio rifletteva la ballerina, gli scaldamuscoli rosa, i capelli raccolti, le scarpette, sulle punte, arabesque, pliè. Ultime prove.

Le note calde di un tango scivolavano come petali di rose sfiorite, sul limitare di un’estate ormai nell’aria, di vie deserte e finestre a respirare la notte.

L’Havana era percorsa solo dalla musica quella sera, dopo la pioggia. Le onde che arrivavano sul Malecòn erano una carezza morbida, il ritorno di un ritmo fragile. Una copia stropicciata del Granma su una panchina.

Il teatro era gremito, gli strumenti musicali accompagnavano la danza sinuosa, e tutti erano rapiti da un tempo andato quello che sta dietro lo specchio, che vive parallelo.

Al Floridita il rum nei bicchieri per un daquiri, quel vecchio libro comprato al mercatino poche strade più in là, che porta la firma di Hemingway.

Una cerata per coprirsi dalla pioggia, compagna discreta che arriva improvvisa, come un temporale estivo, a Trinidad, che sta appesa al collo come una collana, il segreto racchiuso nella sabbia delle maracas.

Poi per i turisti gli ambulanti spiegavano le magliette del Che, commercializzando la libertà, barattata con un peso leggero come una foglia di tabacco.

Compay Segundo sulla copertina di un disco che canta:

“De Alto Cedro voy para Marcané
Luego a Cuerto voy para Mayarí”

lunedì 18 luglio 2011

Finibus Terrae


“Non ti sai nascondere davvero…

Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima
quante volte sei mancata
quante volte mancherei
un colpo al cerchio ed un colpo all’anima” Ligabue



A Lory e Dario che mi registrano il messaggio del Presidente ogni capodanno, ovunque io sia.

A Laura e Sandro, che mi hanno tirata fuori dal deserto della Parigi-Dakar.

A zia Elvy, Gandoli come Cap d’Ail.

Ad Angela e Ide, il mio paio d’ali.

A Patrizia, tutto si può, basta volerlo.

La pioggia bagnava le vetrate del minuscolo aeroporto.

Quando ci chiamarono per l’imbarco attraversammo la pista a piedi, il piccolo velivolo aveva già messo in moto i motori. L’aria umida di pioggia si mescolava a una malinconia.

I cespugli di ibisco e le buganvillee erano un’esplosione di colori, le vedevo dal finestrino, mentre lasciavamo la piccola isola, lambita da mari tranquilli e acque basse. Dove la mattina uscite di casa prendevamo il caffè con i piedi nell’acqua.

Ricordo che il primo giorno, dalla veranda alzai le mani per contenere un’immagine, come se avessi avuto una macchina fotografica: il cuore scattò una fotografia.

Una partita a carte con il destino e una noce nella mano.

Carta

Ci sono posti che finiscono, più in là non si può andare. Andare oltre, cercare un volto scoperto nello specchio alla luce di una candela, tanto tempo prima.

Un sogno, un numero, ripetuto e giocato mille volte, e perdere, mille volte.

Vedo

Finibus Terrae, una foto scattata al limitare dell’abisso.

“Fermati, è pericoloso”

“Ma c’è il prato, dietro”

Il prato era una striscia di terra che non mi avrebbe salvata, ma non mi serviva il paracadute quel giorno.

Lascio

L’aereo rulla piano sulla pista e mi permette di abbracciare con lo sguardo le colline, le piccole case, poi prende quota, sale per un po’, poi si piega ed è il saluto al mare, alla spiaggia, a un posto che vive solo dentro di noi.

Poi il cielo.

La mia casa, il mio tempo. Le lettere di amici con francobolli stranieri.

Full d’ assi

Un passo conosciuto alla porta. Un canto conosciuto quella voce. Il tempo del vino e delle rose.

Un dito sulle labbra, il segno universalmente condiviso del silenzio.

“Non dire niente”

Stamattina, camminando sulla spiaggia, ho inciampato in un messaggio in bottiglia.

Un azzardo con il destino, quando alla mano di carte mancava la carta buona, che è arrivata, per ultima, inattesa, inaspettata, proprio quando ero lì per lasciare la stazione e un treno si è fermato.

Siamo il nostro passare, siamo i giorni buoni e quelli bagnati di pioggia. Siamo sole e tempesta.

Siamo le parole che vegliano la luna nel cuore della notte. Siamo bocca e bocca per un bacio.

Ecco, semplicemente, siamo. Il nostro tempo. Sull’orlo di un precipizio, di una vertigine, di un abisso, al limitare di Finibus Terrae.

venerdì 1 luglio 2011

L’estate in una finestra


“c’è qualcosa fra te e la vita
che non ho ancora conosciuto
mentre ridi così facilmente
c’è qualcosa fra te e la vita
chissà quanto vi conoscete
mentre ridi, mentre ridi” Ligabue

La grande casa di zia Elvy stava appoggiata su un lembo di mare che si insinuava nel piccolo fiordo, tra le ville arrampicate alla collina, celate dai pini marittimi e giù il piccolo porto.

Ci sono posti che anche solo evocati dal ricordo sono approdo per l’anima. Legati quando è la vita a separare.

Iris era arrivata il giorno prima, per stare un po’ con zia Elvy, voleva respirare quell’aria familiare che aleggiava tra le persiane accostate il pomeriggio, quando tutto era silenzio e il tempo era scandito dal frinire incessante delle cicale.

Come si somigliano i sud del mondo, tra ulivi e mare, panni stesi ad asciugare come vele pronte a portare i pensieri in alto mare.

I posti dove si cresce restano in noi simili a se stessi, non li vediamo invecchiare, fin quando tornandoci si cominciano a contare le assenze, i cambiamenti.

La ragazza sfiorò con dita di gesso l’altalena in fondo al giardino, che cigolò sotto la spinta della sua mano.

I ricordi frantumarono il silenzio quando arrivarono gli amici di tanti anni.

Una festa d’estate, era davvero curioso come quella casa da sempre li sapeva riunire.

Anche quando si credeva fosse impossibile, per il lavoro, per la lontananza quel luogo aveva la magia di richiamarli. Tutti. O quasi. Con questo pensiero rientrò in casa per finire i preparativi.

Il giardino era un tripudio di colori, palloncini e bandierine, di bambini che giocavano.

Sentiva le voci ridere che entravano dalla finestra della cucina.

Era come se aspettassero qualcuno e lei non capiva.

Dalla grande terrazza osservò il mare al tramonto, era estate, le barche rientravano in porto.

Un fischio. Lontano.

Ciuffo iniziò ad abbaiare scendendo velocemente la scalinata. Iris lo guardò, dapprima stupita, poi quasi incredula.

Ciuffo era il cane del porto, ma amava anche lui quella vecchia villa sul mare.

Iris attraversò il giardino sotto lo sguardo benevolo di zia Elvy.

Ciuffo corse verso la spiaggia.

Quando lei arrivò stava ormeggiando una vela. Valentina, c’era scritto sulla prua. Con una vernice rossa, rovinata e sbiadita dal tempo. Un ricordo, legato stretto al polso come una bandana.

Massimo la salutò.

“Non ho parole” disse lei.

“Questa era la mia battuta” rispose lui.

Ciuffo andava avanti e indietro.

Il vento stava cambiando.

Il calendario raccontava un presente a tratti imperfetto, come i giorni in Somalia.

Il tempo antico di attese dalla finestra di zia Elvy.

Stavano tutti là, seduti in giardino, ad aspettare che iniziasse una nuova estate, fluendo come raggio di luce da una finestra.

Ancora.




sabato 12 marzo 2011

Hic sunt leones












"Si era portato anche il grammofono nel safari. Tre carabine, provviste per un mese e Mozart.

Iniziò la nostra amicizia con un dono e in seguito, non molto prima di Tsavo, me ne diede un altro. Un dono incredibile, uno sguardo sul mondo con gli occhi di Dio e pensai: sì, vedo. Con questa intenzione mi era stato dato. Lui mi aspettava là, ma sto anticipando troppo la mia storia, questo a Denys avrebbe dato molto fastidio, gli piaceva una storia raccontata bene.

Avevo una fattoria, in Africa ai piedi delle colline Ngong”

Da: La mia Africa

giovedì 17 febbraio 2011

Giornata internazionale del Gatto



In una notte di neve

Gatto, se esci, devi camminare nella neve,

ritornerai con scarpette bianche ai piedi,

pantofoline candide di neve con calcagni di nevischio.

Resta accanto al fuoco, Gatto mio. Buono, non andare.

Guarda le fiamme che danzano e fischiano piano,

ti porterò un piattino di latte come una margherita,

così bianco e così liscio, così tondo e così dolce.

Resta con me, Gatto. Fuori soffiano i venti impetuosi.



Fuori soffiano i venti impetuosi. Signora, e buia è la notte.

Strane voci gridano tra gli alberi, intonando leggende strane,

e non solo i gatti si aggirano, alla luce verde dei nostri occhi,

con piedi silenziosi dove le erbe dei campi pendono brinate…

Signora, fuori ci sono portenti di magia e di potere,

e cose che devono ancora essere fatte. Apri la porta.

-Elizabeth J. Coatsworth-

mercoledì 23 giugno 2010

Les champs de lavande. Oil on canvas



Ci terrei a precisare

che ho comprato questa tovaglia
con il suo semplice disegno ripetitivo
di fiori viola scuro non menzionati da alcun botanico
perché mi ricorda quel vestito stampato
che indossavi l’estate che ci siamo conosciuti

(un vestito
– hai sempre sostenuto –
che non ti ho mai detto che mi piaceva).
Be’, mi piaceva, sai.

Mi piaceva.
Mi piaceva un sacco, che ci fossi tu dentro
oppure no.

Andrew Motion

Non aveva nulla di particolare perché gli uomini si fermassero a guardarla, il vestito semplice le accarezzava il corpo in un’esplosione di fiori lavanda su sfondo bianco.

Les champs de lavande. Oil on canvas

Lui la guardava scendere verso il molo.

-Che veniva voglia di raccoglierli quei fiori, a uno a uno, come papaveri in un campo di grano quando l’estate è alle porte.

I capelli le scendevano lungo le spalle nude, come cielo nuziale entrare in un raggio di sole dal rosone sulla facciata della cattedrale e posarsi tra incenso e fiori e candele inginocchiate ai piedi dell’altare di dimenticate preghiere. Sì dimenticate.

Mentre fuori la calura rendeva fragili ed evanescenti i contorni del paesaggio.

Un ritratto sbiadito, come vecchie foto di inizio secolo.

A Montmartre.

Il campanile della cattedrale svettava sopra le case del borgo e di là gettava un occhio benevolo sul mare dove le imbarcazioni del porticciolo ondeggiavano appena.

Lei si incamminò sulla stretta passerella lasciando impronte umide dietro di sé. Che subito svanivano. Inghiottite dal sole.

-Come nella sua vita- pensò lui.

Lo raggiunse.

-Ciao- disse solo.

-Ciao-disse solo. Lui.

Poi tutto tornò a tacere.

I cani sonnecchiavano all’ombra degli olmi sulla piazza.

Immobili. Le cicale frinivano senza sosta.

Ma non le vedevi.

Erano invisibili.

Come loro.

Come cielo nuziale, velo di stelle cadenti. Disilluse e discese.

domenica 8 giugno 2008

Aerei di carta




Due lembi di foglio piegati,
la punta tenuta in equilibrio
tra il pollice e l’indice:
un aereo di carta,
ne costruisce a decine Said
per volare sulle ali della fantasia,
più in alto delle nuvole,
più lontano dalla guerra.
Aerei di carta che volano
tra le bancarelle del suk
senza fare rumore.
Oggi è giorno di mercato
in terra di guerra.
Volare in alto, dove il cielo
si tinge d’azzurro e poi planare giù
tra le arance rosse e le donne velate
dalla carezza del burka.
Volare in alto , ombre scure
si allungano e una pioggia d’acciaio
infrange i sogni,
la guerra non conosce giorni di festa.
Grida.
Corpi immobili.
Ancora sangue.
Said è a terra,
tra le arance cadute,
stretto nella sua piccola mano
un sogno di carta,
non volerà più.
Volare in alto.
E’ lassù adesso.
Riuscite a vederlo?
Un piccolo aereo di carta.
Verrà giù sulla terra molto presto,
è qualcosa che chiamavamo Pace.

martedì 22 gennaio 2008

Aix-en-Provence, matin







“Lei, era tutt’altra cosa. Innanzitutto, non guardava mai il fotografo. Giovane e sognatrice, affacciata al balcone di rue Damrémont, con un golfino scollato a V senza niente di sotto, avrebbe potuto essere una studentessa emancipata, o una segretaria seducente.”
Philippe Delerm

venerdì 10 agosto 2007

La grande mela

martedì 17 luglio 2007

Barcellona




















Di passi sulle Ramblas, tra mimi distratti,
lampioni di Gaudì a Placa Real,
semafori spenti sulla Diagonal,
el Paseo de Gracìa, la sera, era solo un quartiere.


(Dal quaderno di Pablo Y Ruiz)

-Barcellona, Aprile 2006-

domenica 15 luglio 2007

Sorrisi













Spesso i bambini in Africa non hanno le scarpe, eppure sono tanti i passi da percorrere...

(Kenya, Kilifi, Villaggio Noa, Luglio 2006)

Frammenti di francobolli












Gli ultimi 80 KM della Parigi-Dakar, la terra rossa del Senegal, e i suoi baobab, giganti buoni lungo la via...

(Dicembre 2001)