C’è
una tradizione qui al sud, alla quale non potrò rinunciare e il giorno in cui
me ne andrò mi mancherà da morire; è lo scambio degli auguri il giorno della
Vigilia di Natale nella pedonale Via Sparano.
Ci
si ritrova tutti lì, quel giorno la regola è: “a pranzo non si mangia” in
attesa della cena della Vigilia.
Mi
sono sempre domandata: ma se stiamo tutti in centro chi sta a casa a cucinare?
In
un posto se non ci sei nato non puoi capire, puoi solo provare a raccontare…tra
capitone e baccalà, mercati rionali aperti tutta la notte del 23.
In
ufficio avevano finito, fatti gli auguri di rito, tagliato il panettone,
brindato con bollicine italiane e bicchieri rossi di carta, non restava che
tuffarsi nella festa, o almeno in quello che la precedeva.
Lei
lo pregò di accompagnarla.
Lui
sospirò, prese il cappotto e la seguì verso l’ascensore, raccogliendo gli
ultimi scampoli di “auguri” dalle scrivanie, tra zucchero a velo dei dolci
avanzati e mezza bottiglia di bollicine da finire.
-Ha
anche smesso di piovere.- disse lei quando scesero in strada, trascinati da una
folla scomposta e festante. Dove andassero non era dato sapere, scorrevano,
come un fiume.
-E
dai sorridi.- lo provocò lei. Lo prese sottobraccio con fare protettivo: -Ti salvo
io dal Natale.-
Lui
capitolò con un sorriso, a lei “no” non si poteva dire.
Il
problema era lui. Si rivide bambino quando la sera del 24 rimaneva sveglio ad
aspettare l'arrivo di Babbo Natale. Adorava il Natale; quando prese ad odiarlo
fu colpa di un coniglio.
Ci
sono episodi dell’infanzia che ognuno di noi si porta appresso, momenti belli
ed episodi raccapriccianti. Lui trascorreva molto tempo con i nonni e con loro
condivideva la passione per le passeggiate, l’amore per la natura e l’allegra
voglia di essere utili dei bambini, dando una mano nell’allevamento di conigli
dello zio nelle vacanze estive e in quelle natalizie. Nulla di trascendentale,
un piccolo allevamento amatoriale di provincia, di chi vuole mangiare sano, una
sorta di visione bucolica del cibo.
La
tragedia era in agguato quel giorno di Natale, quando sulla tavola fece il suo
bell’ingresso uno stufato di coniglio alle olive. Ora, un bambino che viene
dalla città, che si porta addosso quella sorta di allergico-a-tutto, che supera
le sue paure e per giorni porta acqua e cibo a quei simpatici animaletti dalla
pelliccia fulva, dal musetto in perenne movimento, come può reagire trovando il
suo “amico”a tavola. Nel senso che lui era il commensale e il coniglio la
pietanza.
Uno shock.
E
su questo un bravo analista ci avrebbe cucito su una storia tragica, tirata
fuori magistralmente dalle pagine di Dickens come un coniglio dal cilindro di
un mago distratto.
E
come lo aveva ben definito l’autore inglese nei Racconti di Natale: quella
sorta di inafferrabilità, di perdita che è il ritorno dello spiritello
dell’infanzia “ora una cosa con un
braccio, ora con una gamba, ora con venti gambe, ora un paio di gambe senza una
testa, ora una testa senza un corpo.”
Nell’equazione
dove Scrooge sta allo Spirito del Natale, e la “x” variabile indipendente, per
lui era un coniglio.
Per
la via tutti si salutavano e si scambiavano gli auguri, non si sarebbe sorpreso
a vedere anche le renne.
-Guarda
faccio nevicare.- disse lei agitando una sfera di cristallo con la neve finta.
Le
sorrise. Già, a lei “no” non si poteva dire. Le sorrise.