domenica 29 giugno 2008

Zucchero e cannella alla New York Public Library












Dedicato a Claudia Carucci







In fondo, la settima onda, è solo un’onda più alta delle altre

Zucchero e cannella in catalogo alla New York Public Library:

http://catnyp.nypl.org/search?/Xcardone&SORT=D/Xcardone&SORT=D&SUBKEY=cardone/1%2C41%2C41%2CB/frameset&FF=Xcardone&SORT=D&3%2C3%2C

Dalla prefazione:

(…) Il corpo resta e la mente prende il largo, aggrappata a quei gusci di cocco stretti in una rete da pescatore, sui quali Henri Charrière detto Papillon, scappò dall’Isola del Diavolo, gettandosi da una rupe. Anch’egli per quel tuffo, attese di rompersi sugli scogli della settima onda. L’unica capace di sospingere la sua rozza imbarcazione verso il mare aperto e mandarlo incontro alla libertà. -Claudia C.-

sabato 28 giugno 2008

La mia Itaca







Ho navigato acque agitate dalle tempeste, ritrovando a tratti, di Itaca, solo uno scoglio vestito di muschio sul volto notturno di una luna nuova.

Il mare nostrum di acquari e vele colorate a punteggiare l’orizzonte erano la compagnia mentre cercavo la mia Itaca.

Il vecchio Ulisse annodava le reti tra i pescatori sull’isola di tetti azzurri e gatti appisolati nei vicoli, ascoltando un canto venire dal mare.

Suonavano le campane di San Giovanni e la Gran Madre parlava.

I Cappuccini rispondevano. Come allora.

La mia Itaca è stata un pezzo di corallo, il riflesso perlaceo di una conchiglia che ancora conserva la mappa dei nuovi viaggi e all’orecchio, sordo, l’eco del mare. Che chiama.

Che chiama.

Come chiamò Ulisse.

La mia Itaca è terra di pensieri, lo spazio bianco tra le parole, la libertà barattata con una tempesta che fa vacillare l’anima, guscio di noce. Poi l’orizzonte, limite allo sguardo.

Al di là troverò Itaca.

Forse più vecchia, spopolata, il brandello di un’odissea lunga una vita.

Allora percorrerò la sua lunga spiaggia fino al tramonto e siederò con Ulisse e i pescatori ad annodare le reti.

Colmando lo spazio bianco tra le parole.

La distanza di un’assenza.

domenica 22 giugno 2008

Il venditore di tappeti sulla Promenade des Anglais

Scorcio della Costa Azzurra










Un pomeriggio afoso, i primi di Agosto, l’aroma di anice nei bicchieri sedute a un tavolino all’aperto sul lungomare, una manciata di chilometri da Genova.

Le gambe abbronzate, gli occhiali da sole appoggiati sul capo e sul tavolino numerosi depliant: per over-booking salta il viaggio a Montego Bay.

Rafaela e Gracìa propongono come alternativa un last minute a Marrakech, che ci fa recuperare anche un po’di soldi dall’assicurazione, che so già, spenderemo in inutili souvenir.

Una valigia per l’Alto Atlante di costumi e un dopo-sole (azzardato).

Gracìa inizia a raccontare la storia di un conoscente del nonno, un marocchino che gli salvò la vita in guerra e che ora vende tappeti sulla Promenade.

Poi il fragore di un tuono ci costringe a correre al riparo. Piove.

Il figlio di Rafaela ci accompagna alla stazione di Milano, in mosaici i pavimenti, conto i tasselli mancanti, erosi dal tempo e da valige da trascinare.

Mercanti improbabili e il peso di un aggettivo, da portarsi al collo, come il colore della pelle e reinventarsi un nome.

L’aeroporto, i turisti, il check-in, i ritardi.

Decidiamo per un caffé, l’ultimo “bevibile” da brave italiane esigenti.

-3 caffé–

-Uno macchiato–

-Uno con dolcificante-

-Uno leggermente lungo-

Il ragazzo dietro al bancone ci guarda e ride, avrà sì e no vent’anni.

Ridiamo anche noi rovesciate nelle vetrine dei duty-free.

Volo tranquillo tra riviste e libri a metà.

Amara sorpresa al nostro arrivo: i bagagli non ci sono. Dopo aver visto sfilare per l’ennesima volta l’ultima valigia sgualcita sul nastro ci dirigiamo al banco Lost &Found.

Compiliamo un paio di moduli.

-Visto che non era di nessuno, potevamo prenderci quella valigia…- inizia Rafaela.

-Sì e chissà cosa c’è dentro! Con la fortuna che abbiamo ci fermano in dogana- dice Gracìa.

Ci avviamo all’uscita. Piove.

Rafaela e Gracìa si voltano e mi guardano.

-Non piove mai in questi posti. Lo dicono anche le guide.- Mi difendo.

Andiamo a cena a fuori, dato che non dobbiamo passare in albergo a disfare i bagagli.

Il taxi è comodo, sa di nuovo, peccato che i sedili siano ancora avvolti dal cellophane, mi si incollano le gambe.

L’autista ci scambia per spagnole e mette su un CD, che racconta di un pianto a Gàlizia.

Il cibo speziato, le luci e complice la musica che inebria l’aria, ci ubriachiamo, tra respiri di narghilé e tè alla menta.

Perse nel souk a comprare vestiti da odalische.

Facciamo l’alba sulla terrazza del nostro albergo a raccontarci vecchi amori e amanti perduti.

Arrivano le valige e organizziamo la nostra vacanza alle porte del deserto.

Gracìa con i bigodini in testa, Rafaela con un’improbabile maschera al garofano e io lego una cavigliera a tener fermo un drago tatuato sulla caviglia, ombra di hennè.

L’ultimo giorno ci fermiamo a una fabbrica di tappeti, ci illustrano lavori pregiati, migliaia di nodi, il lavoro paziente di piccole mani, al telaio. I prezzi sono esorbitanti, chiedo conferma nel timore di non aver capito bene la traduzione.

-Ma dai, se vuoi un tappeto lo compri da quel marocchino che ti dicevo, sulla Promenade des Anglais- dice Gracìa.

-E poi sarà più facile da trasportare!- le fa eco Rafaela.

Il mercante di tappeti ci guarda senza capire.

Fuori si fa scuro.

-Pioverà?- domando.

-Inshallà- risponde l’uomo.

sabato 14 giugno 2008

Anhabell

Picasso







Anhabell non ha età

Si nasconde nell’ombra dell’umiliazione delle sue rughe, tra i riflessi di una vita bugiarda che ha colorato d’argento i suoi capelli e di polvere le monete di un’elemosina e pietà.

Il solco di un sorriso amaro le taglia il volto obliquo in due

e

mani scartavetrate di carezze per i cani.

La sua carta d’identità è un documento falsificato dal tempo.

Leggo i dati anagrafici sbiaditi e mi soffermo su quei

“s e g n i p a r t i c o l a r i”

S e g n i

La conosco da sempre e ne osservo gli anni curvi sulla schiena come croci dimenticate e mi domando come si possa riassumere una persona con un nome, data di nascita e quei

“s e g n i p a r t i c o l a r i”

S e g n i

Anhabell osserva la gente che scende dai sogni e sale sui treni

Figli di un’altra stagione e una comune povertà o di una vecchia fortuna, chiusi nei pensieri grigi come segni di lapis su una pagina da scrivere.

Capriole di nuvole e neve il cielo oggi

Giornali stropicciati

Cafè

Passa in fretta la vita alla stazione della nostalgia per i sogni abbandonati lì vicino ai binari, su rotaie morte, scarpette dimenticate di un’illusione, le ballerine di Renoir un cartellone ingiallito.

Arabesque e Arrière non van d’accordo con le pratiche in ufficio che attendono.

Non c’è spazio per i rimpianti nel giorno che incalza come vento di Borea sulla malinconia.

Anhabell ha cuciti addosso gli scampoli di un’illusione, stracci lacerati di vecchi “perché” rimasti nell’assenza di una risposta.

Scialle di consumati ieri intrecciati a fili di lana e solitudine nel cammino stanco di chi ha per compagna un’ombra.

Fiori nelle aiuole ad appassire di sole e di mai.

Margherite.

In ginocchio al canto di un Osanna e questua di confraternite, il sagrato di una chiesa il suo cortile.

Anhabell osserva la gente che scende dai sogni e sale sui treni

Nella tasca di un soprabito dalle maniche consumate, il paziente lavoro dei tarli e del tempo,

una manciata di sbiaditi coriandoli,

il regalo di un bambino.

Qui alla stazione dei sogni abbandonati, scambiati con la vita, stelle appese e Natale presto a venire.

Re Magi a portar doni e eco di nenie e di canzoni, qui alla stazione del tempo che vola via.

Anhabell libera da vincoli e di troppi giorni lenti da dimenticare

Di sale nelle pieghe di una gonna da gitana

“Senza tetto” li chiama

………………………..( chi ha perso il cielo e pensa di proteggere un’anima nell’illusione di una ………………………..casa di muri e imposte chiuse)

“Barboni” la voce disprezza

…………………………….(chi è messo in “scacco” dalla vita e pensa di comprare anche la libertà)

“Clochard” perbenisti

……………………..(chi regala una moneta e fa silenzio sulla coscienza)

Anhabell non ha età

Anhabell è una storia interrotta il 18 Aprile 1964.

L’ultima data impressa su questo documento scaduto, dati anagrafici e una foto in bianco e nero.

Trine e merletti, Anhabell vestita di stracci e di cielo, stelle ricamate come neve, la brina sui capelli.

Questa mattina.

E

una storia.

Per chi vuole ascoltarla.

Che non ci sta stretta in quella riga:

“s e g n i p a r t i c o l a r i”

S e g n i

Anhabell osserva la gente che scende dai sogni e sale sui treni

domenica 8 giugno 2008

Aerei di carta




Due lembi di foglio piegati,
la punta tenuta in equilibrio
tra il pollice e l’indice:
un aereo di carta,
ne costruisce a decine Said
per volare sulle ali della fantasia,
più in alto delle nuvole,
più lontano dalla guerra.
Aerei di carta che volano
tra le bancarelle del suk
senza fare rumore.
Oggi è giorno di mercato
in terra di guerra.
Volare in alto, dove il cielo
si tinge d’azzurro e poi planare giù
tra le arance rosse e le donne velate
dalla carezza del burka.
Volare in alto , ombre scure
si allungano e una pioggia d’acciaio
infrange i sogni,
la guerra non conosce giorni di festa.
Grida.
Corpi immobili.
Ancora sangue.
Said è a terra,
tra le arance cadute,
stretto nella sua piccola mano
un sogno di carta,
non volerà più.
Volare in alto.
E’ lassù adesso.
Riuscite a vederlo?
Un piccolo aereo di carta.
Verrà giù sulla terra molto presto,
è qualcosa che chiamavamo Pace.