giovedì 12 settembre 2013

Recensione di Storia di una narratrice in fuga, Annella Andriani – Il Grillo editore



Oggi sono ancora una creatura in fuga

Occorre iniziare da qua, per capire. Per cogliere in pieno il messaggio dell’autrice.
Che non è nelle pagine, non è sul palco la sera della prima del suo romanzo, è già altrove, a raccogliere frammenti di vita per farne storie.
Un’immagine di Nennella, per gli amici, che ho davanti agli occhi è di lei che lavora a uncinetto, intrecciando fili di cotone, così fa nella vita e nelle pagine di questo romanzo.
La trama e l’ordito si legano dando il via a un sapiente gioco di intrecci, il cui risultato finale si avrà solo al termine.
In fuga, passando per le pagine obbligate di questo libro raccontando una vita, che cerca in tutti i modi la libertà da una violenza, da una costrizione, da una prigionia seguendo il volo delle rondini e il disegno delle nuvole come emblema di libertà.
Ti disponi ad ascoltare, non puoi fare altro.

La lieve e religiosa tensione che lega il narratore a chi lo ascolta

Ritrovo tra queste pagine un richiamo al classico Jules e Jim di Henri-Pierre Roché, con uno stile più asciutto, pur attingendo a tratti a una prosa poetica che racconta il dolore, ma che subito ne fa miracolo e scudo per una nuova rinascita.
Il volo, la ricerca di libertà, un quieto passaggio per Salem, quasi a voler trovare un’alchimia che dia la forza alla narratrice per sconfiggere i demoni nell’ombra.

Affettuosa immagine di attimi di famiglia, dove i legami sono a volte dolorosi, a volte ineludibili, a volte preziosi, come la presenza dei nonni e il loro invecchiare. Inesorabile. Lasciando in noi, un po’ di loro.

-Questa palla è il destino, tienila con cura, non lasciarla sfuggire mai. Se la farai cadere si frantumerà e saremo perduti.-

L’uomo libro, emblema e chiave del romanzo, che si chiude in fretta, appena ci si affeziona ai personaggi, già è ora di lasciarli andare e allora ti domandi se non sia in realtà una magia della scrittrice, un mondo fatto di tamerici e paesaggi bruciati dal sole di una campagna del sud, che può esistere per poco, come un miraggio. Che subito ci lascia.
Perché la narratrice è in fuga, deve andare, deve seguire il volo delle rondini…

La vita mi passava accanto e non potevo fermarla


mercoledì 11 settembre 2013

September, eleven





eight, nine, ten.
Eleven

I bambini hanno disegnato per terra un gioco vecchio, antico.
Campana.
Little Italy, cuore di Manhattan.
Mentre contano i passi io acquisto un quotidiano. Le immagini, per non dimenticare.
Il fumo. Le torri.
La fine. La terra.
Se fermassi la gente per strada, ognuno di loro mi saprebbe dire dov’era quel maledetto 11 settembre alle 9,02.
Mi porto dentro il fermo immagine di quei fogli di carta che ondeggiavano come foglie d’autunno. E scrivevano la storia.
Il fumo. Le torri.
La fine. La terra.
eight, nine, ten.
Eleven

mercoledì 4 settembre 2013

Recensione: Il peso del Ciao, Francesco Forlani





“Perché il giornalista dice a lei che è troppo trendy per essere un intellettuale”

Ci sono cose che fanno di parte di noi, o del nostro vicino passato. Passato prossimo.
E hanno un peso, o meglio il loro peso è leggero.
Il Ciao è uno di questi.
Piccolo cammeo nell’album dei ricordi di giorni estivi e vento tra i capelli.
Il suo peso leggero, ossimoro di una metafora della vita, così queste pagine di Francesco Forlani.
P-O-E-S-I-A
Di quando la poesia è diventata fenomeno per pochi, gioco di nicchia, ma unico modo per fotografare la vita, per dipingerla di un impressionismo semplice, specchio dell’anima, vecchia busta ingiallita, testamento del cuore, intarsiata di francesismi, come ciliegie sottospirito, da assaporare nelle sere d’inverno.

“E le caviglie fini per il volo ed un distacco quel che mi tiene a terra”

Così, come su un lenzuolo di sanscrito, un sudario senza un Cristo, ci appare la parola, il verso, quella piega della pagina per tenerne il segno, la matita per sottolineare e frasi da appuntarsi sulla lavagna in cucina, tra la lista della spesa e magneti colorati. Souvenir, avanzi di viaggio.

“Che il tempo è esperienza e d’esperienza il tempo”
E così tutto scivola via leggero, senza tempo, come quel ricordo, come il peso del Ciao, questo Robespierre di provincia su trains de vie, una donna che agita un fazzoletto rosso, su e giù per le pagine che sono tratte di treni, dove l’autore coglie frammenti di vita.
Poesie dedicate al passare, alle gambe di donne che ispirano pensiero semplice, muto, come davanti a un quadro.

Poesia sulle gambe del tavolo di Emanuela Cerbè

Francesco tratteggia parole, ogni cosa è fatta per lasciare un segno, così due labbra su una tazzina di caffè sono virgole rosse, quel che avanza di noi. Dopo.
E corre via il treno di poesia, “c’est la vie c’est la vie anche quando la vita non consola”.
Le parole si fanno preghiera, quel rosario da sgranare, fatto di non detti,di stazioni recitate come una via crucis, restare appesa al collo, come un’icona votiva immolata al ricordo, tra le gambe e il cielo.

Stazione Termini: come suggerisce Forlani, ti immagini che qualcosa debba finire, così resti lì, con le valigie che sembrano scialuppe, un uomo che ti vende Malboro di contrabbando, e spingi il Ciao, ormai senza benzina, su per la salita della vita, cercando parole.

“E tutta la vita sono stato alla ricerca di una lingua in grado di dire l’anima.
E intanto quella lingua diceva ed io
solo da quella mi lasciavo dire.”

Leggetelo.