giovedì 2 aprile 2009

La Corte del Catapano



Le strade si contorcevano tra le case del borgo sinuose e solitarie avvolte dalla luce calda dei lampioni. Di un tempo antico, sicuramente andato, che ancora recava con sé stucchi muti di volti in gesso sugli archi delle case a far paura ai forestieri. Teste moro mozzate.
Nella Corte del Catapano ballavano la pizzica.
Pizzica
Pizzica
Pizzica
Le gonne come ruote e i piedi scalzi, lei il viso sudato e gli occhi fissi al cielo, quale cielo scuro colava piombo quella notte immobile. Avanzava in preda alla febbre della danza.
I ragni tessevano la tela, aspettando i tempi giusti e una nave dal mare, il nome di Ulisse, rotolato tra l’eco di conchiglie.
Ulisse, Ulisse.
Nico’ scaricava le casse di sigarette che arrivavano dal Montenegro. Una notte di tanti anni prima. Scalzo anche lui, tra le insenature e le lame di Torre Incina.
Pizzica
Pizzica
Pizzica
Fino all’alba ballavano senza sosta, irriverenti, gli occhi come carboni ardenti.
Di occhi a cercare gli occhi, a farsi pescare proprio quando la notte è alta e le difese in balia dei sogni, canti di sirene, sul velo della notte drappeggiato sul mare.
E il mare è solo inchiostro nero per una storia da scrivere.
La sposa avvolta di tulle e rose chiare uscì di casa sollevando i lembi dell’abito, come il sipario al primo atto, passi leggeri.
Primo mistero gaudioso.
Pizzica
Pizzica
Pizzica
Si schiudevano gli usci e dietro le imposte chiuse le comari si stavano zitte, zitte.
La sposa attraversò la Corte del Catapano accarezzando con lo sguardo gli elefanti che pescavano a oriente con le loro proboscidi.
Io ti battezzo
Un nome sulle labbra. Nico’ chiuse gli occhi, chi era quella sposa? E quando li riaprì lei non c’era più. Scherzo del delirio di una notte d’estate e estasi di pizzica.
Corse davanti a San Nicola, le porte chiuse. Le corti vuote e silenziose. Il mercato era addormentato. Non ciarlavano le donne. Si stavano zitte, zitte, zitte, zitte.
E i ragni tessevano il tempo per il velo della sposa. Ma Nico’ non poteva immaginare