La
tua voce mi arrivava a tratti, la linea era disturbata. Chiamavi da una cabina
pubblica.
“Qui
piove”
Per
le strade silenziose te andavi avvolto nel tuo cappotto scuro. La sciarpa di
lana appesa al collo, il mio illuso esserci, lì, con te, stanotte, mentre
raccogli il riflesso rovesciato di te nelle pozzanghere e ombre sui muri, come
scritte straniere a urlare contro il popolo degli eroi.
Quella
canzone che mi avevi scritto dietro una cartolina e che tenevo in bilico tra i
libri e quella bolla di vetro, souvenir che raccoglieva un paesaggio qualunque
nel mondo, di dubbia fattura cinese. Quelle bolle di vetro che fai nevicare
anche ad Agosto.
Piove
a Bucarest.
Te
ne vai senza ombrello, senza di me appesa al tuo braccio. In guerra di terra
non tua, di nuovi armistizi da firmare per coltivare brandelli di futuro.
Mi
porti nei tuoi pensieri, nella fodera della tasca del cappotto, nell’impronta
delle mie labbra sulle tue.
Piove
a Bucarest.
Rientri
solo in un albergo vuoto, il riflesso intermittente della scritta all’esterno
si amplifica nelle pozzanghere, come sangue rosso a colare dalle ferite.
Hanno
colpito il tuo cuore fragile? O è ferita lieve che posso guarire standoti
accanto?
La
voce ritorna chiara. Hai richiamato, per non farmi stare in pensiero. Sì, sento
la pioggia che ti fa compagnia.
Piove
a Bucarest e sono sul cuscino vuoto accanto al tuo.