domenica 25 maggio 2008

La terra. Quella strada che andava dai Canei a Sant’anna



Lento procedeva il lavoro al tombolo e la brezza pomeridiana, arrivava di là, da ovest, vicino al pozzo.

Tutto era immobile.

Anche le lenzuola bianche, stese sul prato, avanzo di cenere l’aroma nell’aria.

L’edera sudava lucida sotto il sole di dui bot.

Aveva suonato la campana di Sant’Anna?

La strada bianca legava quel grappolo di case, distese tra il grano e le vigne.

Mazzi di papaveri le corse dei bambini.

Le api ronzavano nell’incessante via vai tra gigli e margherite.

L’acquaio era muto, anche le galline così cicaleccie si stavano zitte.

Distesa, bambina, nella camera con il soffitto spiovente, tendevo l’orecchio. Non dormivo, respiravo l’ora del meriggio più misteriosa.

Il giorno mi filtrava tra le righe delle persiane, lo spazio bianco di parole mute.

La terra, anche lei non dormiva, lo sapevo. E mi chiamava con giri di rondini e svolazzare di farfalle.

Lento procedeva il lavoro al tombolo e la brezza pomeridiana, arrivava di là, da ovest, vicino al pozzo.

Non passavano mai quelle ore lente di polvere.

Il ticchettio del vecchio orologio sul comò batteva il tempo dell’attesa.

Di quella voglia di crescere e volare.

La magia di acqua lievito e farina e la legna a crepitare nel forno, bagliori arancio sulle mie guance.

Ripassando tabelline sulle dita, un gerundio e l’Ave Maria.

L’abbaiare lontano di un cane. Il muggito delle mucche nella stalla vicina erano il segnale che potevo alzarmi.

Scendevo la scala di legno salutando mia nonna, sull’aia a raccogliere il bucato, con il fazzoletto in testa e il grembiule sui fianchi.

Pane e marmellata.

Lento procedeva il lavoro al tombolo e la brezza pomeridiana, arrivava di là, da ovest, vicino al pozzo.

Mujeres sobre fondo negro


“Il seguito lo conosci già, perché lo abbiamo vissuto assieme. La sera in cui ci siamo conosciuti mi chiedesti di raccontarti la mia vita. È lunga ti ho avvertito. Non importa, ho molto tempo, hai detto, senza sapere in che pasticcio ti mettevi con questo piano infinito.” I.Allende



Voltate sulla faccia del tuo desiderio,

le mani strette a pugno,

i corpi inarcati e tesi,

deflessi alla tua voglia,

insaziata,

colpevole,

assolta.

Ora

corde morbide di un arco a riposo,

gambe arrese, mani aperte a contare le cinque dita.

Due bocche, quattro porte sulle labbra,

di una pelle chiara,

sullo sfondo di lenzuola bruciate.

Nera la passione

della tua frontiera

di donne su sfondo nero,

dipinte e conquistate,

ora

giacciono nella tua mente,

ricordo obliquo e scuro,

in questa cucina,

pennelli e colori,

ancora bagnati di voglia,

Malaga o Madrid,

ceramiche, da firmare con un nome.

Le tue mani tremano nell’assenza

e frughi ogni anfratto, ogni bozzetto,

fino ad impazzire, di lei,

di lei.

Fermata in quel secondo esatto del suo viverti addosso.

Respiri un’altra sigaretta, è lì, da dove non potrà più fuggire.

Lì che migliaia di occhi distratti non sapranno,

ne seguiranno l’armonia di curve,

apprezzeranno la bellezza,

invidieranno il genio.

Ne hai ucciso anche l’ultimo riflesso,

è lì.

Sono lì, nel giro ovale di una ceramica,

senza ideale inizio

o

giusta fine.

Sono solo

Mujeres sobre fondo negro

(Dal quaderno di Pablo Y Ruiz)

venerdì 16 maggio 2008

La messa degli scarabei al tempio di Karnak





“Procurati un tempio. E poi potrai adorarmi il tempo di una messa”

Sotto il quarto di luna filtrato appena dall’intreccio dei rami, vegliavano le rane alla pozza acquitrinosa.

Mani giunte per il vespro della sera.

Fiorivano i meli.

I ragni tessevano il velo per la sposa degli dei.

Altari di sale a cristallizzare sulla pelle il tempo degli amanti.

Il sacrificio per la città degli angeli.

Di una passione dispersa nella questua del peccato di incappucciati sogni premonitori.

Uccelli

Gabbiani

Si consumavano le mele del peccato alla messa della dea, amante per il tempo di una messa.

Il tempio lì davanti, nudo al tuo sguardo.

In altri calici l’amore.

Crocefisse passioni. L’incrocio di due legni.

Imperfetto esserci.

Gracidavano le rane.

La notte per quelli come te è un drappo di velluto dove raccogliere scarabei color smeraldo, all’ombra di un sicomoro.

Karnak era vicino.

Hai

donne vestite di nero all’ombra delle rughe della tua bocca.

La Senna beveva l’ultimo rintocco di Notre-Dame.

martedì 13 maggio 2008

L’Inde delà le Gange

Picasso




Era del Gange

l’ansa consapevole e coraggiosa

del mio cuore,

posato sulla gemma dell’Eden,

raccolta dalla tua bisaccia,

nomade ai margini di un mi(raggio),

schiuso tra le tue dita e le mie gambe,

enigma

in discesa ardita su indaco di pensieri.

I tuoi occhi sdraiati su una voglia,

l’attesa di offerte immolate,

il mio corpo nudo,

nell’onda del Gange

e

un sari sulla riva,

sale come

polvere delle coperture del mare.

Tatua(mi)

un bindi sulla fronte

goccia rossa di Sanskrit,

sangue e sabbia

di una rosa del deserto,

ancora,

tra le mie gambe e le tue dita,

velami l’anima

(in)sposa

a placare la sete di nuovi dei,

la domenica mattina,

l’Inde delà le Gange






domenica 4 maggio 2008

La vie en rose






Certi mattini ti svegliano con la fretta e la nostalgia che deprime il cuore.

Gracìa passò la mano sullo specchio, per togliere via l’opaco di umidità creato dall’acqua della doccia.

Il suo riflesso non le sorrise, di una ruga stretta sulla fronte, quasi la rabbia, svegliarsi triste.

Appoggiò l’accappatoio sulla parte libera del letto, come a consolare un’assenza di lenzuola disordinate e vuote, a tradire che da sola aveva dormito la metà del letto.

Prese le prime cose che si affacciarono dall’anta dell’armadio, evitando lo specchio.

Tornò indietro e afferrò la cintura, sorridendo tra sé a una sua vecchia battuta:

-Non hai la cintura, praticamente è come se fossi nuda-

La vie en rose,

che percorreva distratta dalle note della radio, la mattina, mentre scendeva lo sguardo verso il mare, che sempre portava in porto una qualche nave, carica di speranze e di sogni.

Lei le navi le accompagnava per mano, le vedeva nascere e morire, era il suo lavoro.

Addomesticava il mare.

Stravaganze di pensieri da girare piano come zucchero nel caffé e titoli dei quotidiani sfogliati di passaggio, già scordati, come inserti che restano lì, per mesi sull’angolo di una presenza,

perché sappiamo più cose inutili di quante non sono necessarie.

L’oroscopo ancora a prenderla in giro:

“Incontri improvvisi e nuovi voli da salvare”

Scuotendo la testa, che chi cura certe rubriche gioca a metà, tra pianeti distratti in collisione con quel che vorremmo e voli pindarici di fantasia.

Chissà, forse poesia.

Pensò alle poesia guardando i pini marittimi sfilare sul mare, quelle imparate a scuola, quelle che restano dentro.

La vie en rose,

si snodava dolcemente al parapetto di illusioni che si tengono come ricordo, per non dimenticare, il segnalibro tra le pagine stropicciate di giorni tutti uguali, casa, ufficio, strada, polvere, supermercato, chiesa, di quando in quando in cori d’organo e ostie a metà.

All’improvviso svoltando un vicolo lo vide, chiuse gli occhi un attimo, certi scherzi la vista te li gioca, complice il caldo, ma quando Gracìa li riaprì era ancora lì.

Un gallo, ma uno vero, con le piume colorate, la cresta e i bargilli rosso sangue.

Camminava, saltellando guardando il mondo dal basso verso l’alto, incurante delle auto, della gente, della donna al quarto piano che stendeva il bucato incredula e divertita.

Un gallo, ma uno vero, in città, notizia da raccontare a spettatori increduli e divertiti.

Gracìa chiamò i vigili, che intervennero per catturare il volatile, perché non fosse ferito o ucciso dalle auto.

Ma il gallo corse via, passando accanto a Gracìa, aprì le ali volò sul parapetto e planò nel fiume, dove anatre selvatiche tagliavano la scia dell’acqua con il loro passaggio.

Lei sorrise e salì in auto, abbassò il finestrino, faceva caldo, era stanca e sorrideva.

Semaforo rosso

La vie en rose,

il tempo dal rosso al verde, per cambiare la sua vita, o per farle il dono di una carezza.

Il ragazzo con la maglietta grigia e il coccodrillo sulla destra si affiancò.

Lacoste

La costa era il luccicare di ultime onde, sul tramonto.

-Posso dirle una cosa?-

Lei lo guardò incuriosita: -Mi dica-

-Ma lo sa che è una bella donna, glielo dicono mai?-

Rise e scosse il capo, quel mattino non si era neppure truccata, per fortuna aveva almeno la cintura a disegnarle la vita, se no, se no è come se fosse uscita nuda.

A spogliarla con gli occhi ci pensò lui, la metà dei suoi anni, il doppio del suo credere ai sogni.

-Le posso offrire un caffé?-

-No, grazie-

-Ma è sposata?-

-Sì-

-Felicemente?-

-Sì-

-E…-

Semaforo verde

La vie en rose,

che a volte gli oroscopi hanno ragione, è questione di pianeti e congiunzioni.

E,

congiunzione,

di due periodi.

-Io lavoro al ristorante giapponese, quello sul porto, la aspetto-

Le auto sfrecciarono via, mentre lei scosse il capo.

Quella sera tracciò con cura la linea sotto gli occhi, passò l’ombretto sfumando in angolo, disegnò le labbra, raccolse i capelli,

alti, sul capo.

Lasciò scivolare l’abito di seta sulla pelle,

la vie en rose,

profumi a gocce dietro l’orecchio,

ad aspettare sussurri.

Il porto si beava sul mare di quell’ora luminosa prima della sera.

Il sushi è pesce crudo, tipico della cucina giapponese, affacciata sul mare una candela si consumò.

La vie en rose,

des nuits d’amour

à plus finir

Gracìa passò la mano sullo specchio, per togliere via l’opaco di umidità creato dall’acqua della doccia, poi lasciò cadere l’accappatoio accanto ad un altro, nel disordine stropicciato di certi letti, il mattino dopo, che non hai dormito, ma la pelle ride e non serve la matita sotto gli occhi.

Importante una cintura, in vita, perché senza sarebbe come essere nudi…e nuda lo era stata tutta la notte, sulla discesa della via en rose,

e un coccodrillo, sulla maglietta…