venerdì 27 marzo 2009

Chianche bianche, chianche nere


Nello zaino si portava gli avanzi del tempo che pesava come giorni al tramonto, quando il sole si rotolava dietro la città e una sfera rossa e infuocata arrossiva i sepolcri.
Nico’ camminava lento, schivando le comari che lavavano le chianche passando e ripassando la pezza imbevuta di sapone. Poco più avanti una vecchina curva, vestita di nero, portava le ceneri del braciere in una latta, tenuta in mano come il vezzo di una borsetta.
Dopo S.Nicola, passato l’arco, stava una donna dietro la finestra che piegava la pasta.
Nico’ appoggiò una sigaretta alla bocca.
Il vento stava al di là delle case, sulla muraglia, prua di una barca vecchia di mille anni, che pescava giù sul mare.
Il ragazzo scrollò le spalle vedendo i lavori ancora interrotti, “non è così che si riceve il Santo”, così che doveva tornare indietro la processione e passare la settimana santa, col Cristo morto e chianche nuove. Chianche bianche e chianche nere.
E per la via le comari compravano le cime di rapa per poche monete, per i giorni di festa.
Il gatto bianco e rosso aspettava gli avventori per un bicchiere di vino.
Vino novello.
Chi correva sull’ora del mezzogiorno domandava: “Grigliata?”
“No. Ragù d’agnello” rispondevano di rimando da dentro alle case vecchie ancora più di mille anni.
E tra le vie strette del borgo antico comandavano le donne, per una curiosa legge non scritta, di uomini imbarcati.
Il postino gridava i cognomi, anche quelli scomodi, anche quelli impronunciabili.
Ma quello era il borgo, con quella luce obliqua e chiara dei sepolcri al tramonto.
Di vecchie come Madonne, sull’uscio di casa e figli perduti e persi per una guerra di contrabbando, di ombre, di famiglie, il nuovo Golgota e croci come cicatrici, ricamate di verità cadute.
Bisbiglio di parole, di parole. Eh? Sst. Bisbigliano, bisbigliano. I passi sulla strada, giù da basso, passi stanchi e ruote. Chianche bianche e chianche nere.
La città era al di là delle mura.