lunedì 5 gennaio 2009

Dakar. Passi zingari fatti di polvere.


“ stare sempre un passo avanti ai sogni” Thierry Sabine

Ballammo una notte intera di passi fino a Place de la Concorde, una sera di fine Dicembre. Quando si accompagna un anno a morire nella Senna, come certi voli con l’auto a concludere un libro. Che leggevo per trovare una risposta, tra dischi che non suonavano più e vecchie stampe in cui Sarah Bernhardt rimase giovane per sempre.

Ai duecento all’ora sull’autostrada della vita, senza perdere di vista lo specchietto retrovisore, che il passato è sempre un amico fedele.

Non importa cosa si insegue o da cosa si fugge, Dakar non è che un nome su una cartina di uno stato africano adagiato sull’oceano che il vento gonfia di onde fin da Capo Verde. Là bisogna arrivare. Quello che la storia ha consegnato al mito sopravvivrà a deserti di polvere.

Quella polvere che mi porto ancora sotto le scarpe e tatuata per sempre su una maglietta bianca, quando mancavano 80 chilometri al Lago Rosa. I miei passi come zingari e balli gitani la notte intorno al fuoco, quando intorno, tutto intorno non era che il deserto e ci credevamo a Timbuctu.

Il tè quaggiù ha un sapore diverso, per i nostalgici, per chi era a Parigi quando si partiva. E pioveva.

Per chi a Gibilterra vedeva due mani tese fino a sfiorarsi. E poi, poi era il deserto, amico, nemico, che tutto cambia e tutto fa uguale a se stesso. Siamo passi di polvere, l’impronta rubata al destino per rimanere per sempre. Terra e polvere. A pelle.

Il cielo, la notte ha le sue stelle, per i marinai e per i pirati, per chi si è perso e non sa più tornare.

La vita rotola davanti agli occhi e le lacrime sono kohinoor, perché in qualche modo ci siamo arrivati e siamo anche ripartiti. In momenti diversi, con sogni diversi. La nostra Parigi-Dakar, quella di chi non sa andare piano nella vita. Quella di chi ci crede ancora che il sogno non muore. Di chi assetato beve dalle labbra di una bottiglia, mezza vuota, mentre le bollicine salgono fino al mento e poi giù, strofinando la manica sulla bocca. Tutto intorno, gira a 365 gradi e gira ancora che si fa vertigine, giù a terra, come un gioco di bambini e un timbro sul passaporto, macchiato di polvere rossa, come ogni cosa in valigia.

Sigarette all’alba, seguendo il fumo azzurrino e il puntino rosso, poco prima delle labbra. Per baciarla ancora quella vita di corsa, senza una pista, in buona compagnia, con una copia de Le Figaro, stropicciata sul sedile posteriore e una bussola in direzione Sud. Sud – Ovest. Attenti a non perdersi. A non fermarsi. Che se no, ti riprendo quando torno.

Ciao Dakar, perché qualcuno sfiderà sempre il cuore del deserto, le sue insidie, i pericoli, il silenzio, la polvere, per vincere se stessi. Ancora e ancora.

A Tierry. A tutti quelli che ne hanno percorso pochi o molti chilometri, a chi è tornato indietro, a chi non è potuto tornare. Perché il sogno sopravvivrà alla polvere.