giovedì 14 maggio 2009

Lungomare di levante


Se ne andava triste, con un cappuccio imbronciato di nuvole basse, curve sull’ orizzonte, appoggiate gravi sulla sua schiena.

Ritrovando per caso una tovaglia a quadretti, bianchi e rossi, mai usata, testimone di un passato impaziente fattosi futuro, di parole oblique.

Quel presente che aveva ipotecato di viaggi e parole, pesanti appese al collo come un amuleto.

Guardia e ladri di giornate smozzicate al loro troppo esserci, sgualciti come lenzuola in una camera d’albergo, dopo. Già dopo.

Il meglio dell’ovest, di un mare adagiato a oriente, capitelli a Bisanzio e prima lettera ai Corinzi.

I passi sul molo.

I passi scalzi sul molo in quell’ora dove tutto giace d’attesa.

La barca porta vergato il nome sul fianco. Restavano seduti a prua, loro due con i piedi che penzolano sull’acqua e il sole in scaglie salate di mare.

Il Monastero di Colonna chiude il cerchio all’orizzonte, quello che possono vedere gli occhi.

Quando le dita sul mento sollevano uno sguardo che non sa mentire.

“Sei ancora innamorata di me?”

Le parole su un tono seccato, come la scoperta pudica di acne giovanile, o una prima volta non ammessa.

Sparecchiava una tovaglia rammendata di ricordi, riposta con cura infondo a un cassetto.

I quadretti bianchi e rossi.

Lei parlava. Lui parlava..

Fra parentesi.

L’orologio dell’aeroporto segna che manca un quarto all’una, i fiori stanno a morire nei vasi, i tavolini dei bar, la piazza che gira intorno alla variabile del tempo. Sempre imperfetto. Mai futuro semplice.