martedì 23 dicembre 2008

Buon Natale

"un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia"

Christamas star al Fishing Club


Adeste fideles laeti triumphantes

Dalla veranda di quella casa sul mare a Diani mi stringevo un kanga sulle spalle, la sera arrivava sempre il vento dal mare, il respiro dell’oceano che frangeva le palme scarmigliandole e solleticando la pelle abbronzata di un brivido.

Sul tavolo la cartina che attraversa la costa del Kenya, è un tratteggio in rosso che passa per il villaggio di Noa fino a Tezo Kwa Chokwe, che sembra la mappa del tesoro. E un po’ un tesoro lo è, lei l’acqua, il nuovo oro nero, il bene comune. Tezo è un villaggio fatto di capanne di fango e paglia, di bambini e galline che razzolano nella nuda terra. Ogni giorno per arrivare al fiume le donne percorrono due chilometri, andata e ritorno,con l’acqua di una giornata in equilibrio perfetto sulla testa. Un progetto, chi ci ha creduto e chi ha sostenuto ed oggi c’è l’acqua. Per tutti. Qui a Tezo.

Gli occhi di Mama Ester raccontano più delle mani callose e dei piedi scalzi.

 
Venite, venite in Behetlem

Questo posto è la mia conchiglia sul mare, mi cammina dentro come una malinconia.

Al Fishing Club hanno appoggiato i fiori delle stelle di Natale, Christmas star, come centrotavola, che è notte di vigilia, notte di attesa.

Padre Angelo ha fatto il suo presepe sotto le palme e una cometa brilla sulla sua chiesa, la vedi quando a Ukunda giri a destra, sulla strada che porta verso il mare.

Natum videte regem angelorum

Quei giorni che pioveva ci sedevamo sulla veranda. Philip e Fabrizio giocavano a domino. Paul armeggiava con le canne da pesca e ondate d’acqua scrosciavano sui nostri pensieri.

“Sarah e Mark, i compiti!” Marika non ammetteva repliche, trovammo un accordo.

Giocavo a scacchi con Mark, otto anni, ripetendo le tabelline.

Feci scrivere un tema a Sarah su una colonna squadrata del patio.

La sua grafia curva, a tratti incerta si mescolava con qualche accento dimenticato.

“Oh, no” disse suo padre.

Ma sapeva, sapevamo che bastava un po’ di colore per cancellare. Tempera bianca. I muri andavano rinfrescati.

E intanto leggevamo libri e fumavamo sigarette mai spente.

E Bach stava chiuso in un CD.

Venite adoremus
Venite adoremus
Venite adoremus Dominum

Dalla raccolta Cote d’Or

A Kuki G., Katana, Mama Ester, Triza e quel quarto di cielo d’Africa che porto tatuato sulla pelle

giovedì 11 dicembre 2008

Pinturas. Oil on canvas



Al MoMa c’era una mostra itinerante e il pittore se stava seduto a terra con le gambe incrociate su una stuoia in smidollino chiaro. Pareva uno di quegli incantatori di serpenti che ti trovi davanti in certi bazar e mercati all’aperto viaggiando verso oriente.

Cercatori di perle

Dalle vetrate scure si intravedevano i grattacieli e la vita che scorreva attraverso le finestre.

Olio su tela, due mani a sorreggere il mento, allungato e un po’ triste di due occhi che frugavano oltre me, come se dietro ci fosse il vero interesse dello sguardo.

Pezzi di vita, scampoli di un normale presente con la messa a fuoco sbagliata, uno di quegli scatti che ti sfugge, mentre non pensi, non inquadri. Colpendo in pieno un sentimento. Qualcosa di Roma, distratta madrina di una sera di Novembre, o forse sullo sfondo il chiarore di certe vie di Montmartre.

Così una manciata di attimi a ricomporre un vita. E due mani a riscaldarsi o a celare un volto. Forse solo a nascondere uno sbadiglio.

Cacciatori di perle si raccontavano aneddoti su alligatori albini nelle fogne di New York

Canovaccio sgualcito e macchie di colore. Pinturas. E il lamentoso intercedere ritmico di un flamenco. Comprare una rosa sulla Rambla e andare a letto quando l’alba incalza.

Dipingere così, imbrattando il presente per renderlo irriconoscibile, salire la scala mobile della metro e trovarsi trapiantato a Central Park.

Questa sera hanno acceso l’albero di Natale davanti al Rockfeller Center. Come accade da un po’ di sere ormai. Volevo raccontartelo, mentre passeggio sulla Quinta e penso che stasera andrò a cena nel Queens.

Stretto nelle mani il volantino che racconta una mostra itinerante. Pinturas. Qualcosa di buono per essersi guadagnato una sala a New York. Ma tu lo sai bene, sfondi solo se passi da queste parti e se qui rimani appeso alle pareti. Abbastanza a lungo per diventare storia contemporanea. No il nome ora mi sfugge, ma è un artista indiano. Un orientale. Lo sai che però ho un debole per Pablo.

Picasso aveva un debole per Parigi

Qualche vecchia foto, cartoline scritte con un inchiostro spesso ma senza sbavature, quello che la clemenza del tempo aveva lasciato. Di loro due. Li incontrai a Parigi. Poi ne persi le tracce.