sabato 4 ottobre 2008

Strada Santa Teresa delle donne




Il molo srotolava il suo nastro di cemento come un’appendice di terra putrida verso il mare, che respirava l’odore delle casse del pesce appoggiate alle barche.
Le reti riposavano al sole le fatiche dei pescatori.
Anche Vito era un pescatore, portava una fasciatura sul braccio sinistro. Un incidente con qualche attrezzo, ma lui preferiva raccontare di un grosso pesce che lo aveva aggredito mentre cercava di levare l’ancora vicino a una secca. Una buona storia, credibile dopo qualche bicchiere di rum, da Fra Diauue quando fuori il cielo si faceva di piombo e le case allungavano le ombre sul borgo antico.
Il gatto sonnacchioso stava seduto impettito sulla porta dell’osteria. Davanti a lui due tazze, una per il cibo e una per l’acqua.
La nonna di Nico scendeva lungo il vicolo tenendo stretto lo scialle sulle spalle e un segno di croce in tasca, davanti a Santa Teresa delle donne.
Strano posto, arroccato al di qua del mare, come un’isola, per scambiarsi le sorti di una città, una torta da dividersi tra famiglie e onore. E storie sussurrate sui portoni delle case a un cenno di intesa.
Non si scrivono i cognomi dove le parole scivolano come acqua di mare. Lasciando solo colature di sale sui vetri.
Quelle stesse vie, fatte di panni stesi tra i vicoli, come bandiere, si riflettevano negli occhiali da sole del ragazzo che camminava di fretta. Le stesse lenti che poche ore prima, al di là dell’oceano specchiavano i grattacieli della metropoli che amava.
Sulle labbra l’ombra delle onde e la sua oasi di sole, tutta italiana.
Un colpo esplose nell’aria, alzò lo sguardo seguendo lo sbattere d’ali dei colombi impauriti. Come applausi a teatro alla fine del primo atto. Si dorme bene allo spettacolo di mezzanotte con il biglietto ridotto.
Qualcuno aveva sparato. Spiavano le imposte socchiuse, trattenendo il respiro, tacevano gli usci sbarrati.
Arrivò la polizia, annunciata dal suono lamentoso delle sirene. Ma ormai era già tutto concluso e gli elefanti sulla basilica guardavano giù dalla muraglia, verso il mare.
E a lei sul polso il segno del tempo e del suo passare, chiuso nel gioco geometrico delle lancette dell’orologio. A barattare un attimo con l’eterno. Perché Parigi stava nella fodera del cappotto, come la carta avanzata di un cioccolatino, nelle tasche.

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