venerdì 20 novembre 2009

Si firmava Pablo Y Ruiz



Zingaro bugiardo a cercare tra i colori il taglio netto di luci orfane alla finestra di un tramonto, di giorni felici.

I passi due alla volta dispari con il cuore e i rintocchi di S.Maria del mar.

Parole mendicate sui gradini della chiesa “Io ti…” restano ferme nella gola come marmo appeso al collo da far naufragare pensieri sterili.

“Io ti…” di un tempo andato, tanto tempo fa.

Grandi falsi d’autore.

Parole nuove

Scendimi in verticale il tempo del perdono.

Bugiardi gli occhi e le parole. Quelle mai dette. Dimenticate, quotidiani sui treni, già vecchi.

Uno specchio incrinato a falsare anche il presente. Un taglio sul viso.

E un altro quadro.

Vernici a seccare. Giù in strada. La tela su una sedia e il sole obliquo d’autunno a tagliare di netto la luce sul carrer.

Violinisti e monete straniere.

Eco di mare dalla bocca delle conchiglie

La cenere appesa alla bocca consumava il presente, mentre il mare andava e veniva sulla battigia, seguendo un filo di pensieri, forse appesi a un quarto di Luna, ancora nuova. Curioso il tempo delle cose dopo milioni di anni.

Il tempo dei colori, indelebili, che restano dopo di noi.

Ah, la notte, buia di mare appeso agli scogli. Di gatti lamentosi. Non dormono.

Tratto perfetto, nascosto, inseguito da linee, confuso sussurro di chiaro-scuro.

Un tratto su un foglio, che non sapeva stare fermo. Inseguiva se stesso. Come un mago a cercare magia da due soldi da un cappello rovesciato.

Cornice perfetta orlata di tarli. Il presente.

Gli occhi del tuo tempo già stanchi di astratta perfezione, il cammino indeciso di un cuore in scacco con il tempo. Il non tempo dell’amore.

Vieni e perdona questo spirito errante, mano naif sui giorni uguali, a mendicare un’opera buffa.

Sì, che non sia tragedia.

“Io ti…” che ormai hai dimenticato, tra fessure socchiuse, tra le palpebre e gli occhi.

Avvelenato di colori e forme. Sedeva il pittore. Sedeva a un passo dal mare. E aveva perso il conto dell’eterno movimento di onde. Che vanno, vengono. Moto perpetuo dell’acqua.

Ne aveva perso il conto, come chi ogni notte conta le stelle, e poi si confonde e ricomincia. La danza antica.

Una tela. I colori. E un’idea. Sempre la stessa.

Si firmava, Pablo Y Ruiz.

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