venerdì 7 settembre 2007

El Mir, quadrilatero romano

















Sul petto aveva ancora l’alone indiscreto di un sole distratto, alti i gradi cuciti sulle spalle, veglia delle sei scendendo i gradini della Consolata.

Consolami il ricordo di antichi fasti la tua cattedrale di silenzi

Quattro campane a intonare l’Ave, alternato ai passi pesanti degli anfibi dell’esercito attraversando un ponte, venivano incontro i sampietrini, tagliati perfetti in quattro angoli di pietra.
L’ombra del duomo vestiva avanzi di colonne romane, prima lettera ai Corinzi, delineando il quadrilatero disteso all’incrocio di vie e piccole piazze, già tovaglie dei caffé all’aperto.
Carovane di cammelli cercavano di passare dalla cruna di un ago; ero nelle gobbe ondulanti, fatte di mari interni che navigammo, su barche alla deriva con la prua a oriente.
Bianche polene addormentate su vermiglie arene, di mari in infuso di ibisco, schiave di nuovi dei decaduti.

Cucimi il silenzio su labbra d’albicocche secche comprate al mercato de la Boqueria, leggendo Neruda sulle cartine dei cioccolatini

Avanza l’uomo in uniforme e forse il coprifuoco stanotte spegnerà le candele rosse del ristorante libanese, El Mir.
Joan Bayèn ha scritto sul menù: Cap i pote.
L’odore dolciastro di melassa inciampa l’orlo del bicchiere, brucia piano la fiamma nei narghilé e arabi affondano nei puf le loro litanie, sans papier, clandestine voci di minareto.

Fa che ti perdoni il ricordo glorioso di città antica in veste di festa, vello d’oro, giorni di eroi stanchi, o noi stanchi di loro.
Fa che ti consegni al ricordo come passato fiorente e colto in macerie di torri.
Quadrilatero, oggi il loro resto, monete dispari.
Perdonami lacrime di cera sulla tua città che brucia, vinta, saccheggiata, data alle fiamme eterne anche l’ultima conquista imperiale, una storia già sentita. Troppe volte.
Lasciami deserto questa cenere a cadere su un monastero. Il mio silenzio


-Dove andiamo a cena?
-Hanno chiuso l’Imbarco numero sei.
-E l’Idrovolante è volato via.

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