La luna di Manhattan
“Dall’alta finestra vedo
uomini, case, giardini,
l’arcobaleno, un trattore arancione
un gatto,
un secondo arcobaleno.
E tu?” Ghiannis Ritos
Il cielo blu cobalto se ne stava appeso come certi soffitti di cartapesta nei presepi, all’ombra delle chiese, o a teatro di tragedia rappreso anche il sangue dell’attesa.
Partenze.
Sudavano i pini e l’ombra respirava l’aroma di un mezzo pomeriggio immobile, il mare faceva capolino al fondo di quelle strade dritte a finire tra le onde.
Attese.
Sigarette tra le labbra con la voglia di spegnerle presto a perdersi in baci ritrovati. Come Doisneau. Acrylic on canvas. Come in un film. Un attimo prima dei titoli di coda, quell’ora più luminosa prima del tramonto.
Storie stropicciate di schizzi a matita e parole dimenticate su un pentagramma per un pianoforte scordato, scordato anche di noi. Non dimenticarmi mai.
Una finestra come un oblò a Manuel Antonio. Sull’oceano. Dove volgi lo sguardo?
Sai, di qui salpavano per l’America, giro di “DO” mentre ti bevi la luna di Manhattan, questa sera che il sonno tarda a venire e seguo la scia di un transatlantico, di tanti anni fa.
Una scala come un’elica, il Bristol. Il DNA dei ricordi.
Serbo ancora l’ancora da affondare in una lacrima. E due dita sul mento.
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