domenica 28 ottobre 2012

Cap Estel



Rose posò una mano sul braccio dell’uomo riscuotendolo dai suoi pensieri. Trascinandolo prepotentemente al presente.
-Sì?- disse lui -cosa stavi dicendo?-
Lei lo guardò preoccupata. -Non ho detto niente. Dove sei andato?-
-Hai sbagliato la domanda: da dove arrivo?-
Si alzò, mise le mani in tasca e si incamminò verso il mare. I fantasmi del passato si agitavano e le streghe danzavano un Sabba su un fuoco mai sopito dove ardevano voci e lamenti e sussurri.
Quell’eco non taceva mai. Una mano scura, l’uomo nero, lo afferrava, a ritorni, come la marea, costringendolo a vedere mille e mille volte lo stesso fotogramma, visto e rivisto, a cercare la chiave, la possibile via di fuga, l’errore. Niente. Niente. Non trovava niente.
Scese lungo la scaletta di pietra, tolse le scarpe, il contatto con i sassolini della spiaggia gli dava un’andatura incerta.
Rose si era alzata, lo seguì con lo sguardo, poi si avviò, percorse il sentiero, scese la scala.
Lui intanto camminava sulla battigia, entrò con i piedi nell’acqua incurante dell’orlo dei pantaloni che andava inzuppandosi.
Lei aumentò il passo, il rumore delle scarpe sulla ghiaia. Si fermò dove il mare lambiva la riva e la linea di sabbia e sassi era umida, il colore appena più scuro a indicare il livello della marea.
Lui si voltò, le andò incontro. Lei lo abbracciò.
-Vai via Rose.- disse senza convinzione.
-No capitano.-
Lui sorrise: -Ti porterò a fondo e non voglio.-
-Non puoi decidere per la mia vita.-
-No. Ma posso darti la possibilità di scegliere.-


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