Villa Bahati
Watamu
Villa
Bahati ci accoglieva con i suoi alberi di casuarina e le cascate di
bouganvillea, i frangipane occhieggiavano tra le fronde e la strada bianca che
dall’ingresso scendeva alla baia di Watamu si parava davanti a noi. Dalla
finestra della cucina vedevo le isole e indovinavo la marea.
Quella
casa dove si parlava italiano, inglese e swahili, ci ritrovavamo per una
promessa fatta, un codice non scritto, ma essere lì era come appoggiare una
bandierina, di quelle da cocktail, sulla mappa dei ricordi.
La
prima volta che scendemmo sulla spiaggia e l’oceano non c’era, completamente
ritirato, l’alta e la bassa marea si alternavano ogni sei ore, avremmo imparato
ad apprezzarlo e ad amarlo.
Le
onde ruggivano sulla barriera corallina quando si usciva per la pesca d’altura
ai merlin.
Rimanemmo
fin dopo il tramonto sulla spiaggia, a Shimoni, ad aspettare la luna piena
salire dalla linea d’orizzonte sul mare, con i capelli di alghe e di sabbia, lo
sguardo al cielo congiungevamo quattro puntini di stelle: la Croce del Sud.
Il
chai intorno al fuoco sugli
altipiani, il volo concentrico degli avvoltoi ad Amboseli, quello leggiadro dei
fenicotteri a Nakuru: quante sfumature può avere il rosa.
Un
traghetto per Diani e un ragazzo con la maglietta stinta dei Metallica.
Lamu
era l’ultima roccaforte di libertà e alla Malindina brindavamo al nuovo anno.
Così
ricordo quegli anni sulla costa.
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