sabato 27 ottobre 2012

Villa Bahati

Watamu

Villa Bahati ci accoglieva con i suoi alberi di casuarina e le cascate di bouganvillea, i frangipane occhieggiavano tra le fronde e la strada bianca che dall’ingresso scendeva alla baia di Watamu si parava davanti a noi. Dalla finestra della cucina vedevo le isole e indovinavo la marea.
Quella casa dove si parlava italiano, inglese e swahili, ci ritrovavamo per una promessa fatta, un codice non scritto, ma essere lì era come appoggiare una bandierina, di quelle da cocktail, sulla mappa dei ricordi.
La prima volta che scendemmo sulla spiaggia e l’oceano non c’era, completamente ritirato, l’alta e la bassa marea si alternavano ogni sei ore, avremmo imparato ad apprezzarlo e ad amarlo.
Le onde ruggivano sulla barriera corallina quando si usciva per la pesca d’altura ai merlin.
Rimanemmo fin dopo il tramonto sulla spiaggia, a Shimoni, ad aspettare la luna piena salire dalla linea d’orizzonte sul mare, con i capelli di alghe e di sabbia, lo sguardo al cielo congiungevamo quattro puntini di stelle: la Croce del Sud.
Il chai intorno al fuoco sugli altipiani, il volo concentrico degli avvoltoi ad Amboseli, quello leggiadro dei fenicotteri a Nakuru: quante sfumature può avere il rosa.
Un traghetto per Diani e un ragazzo con la maglietta stinta dei Metallica.
Lamu era l’ultima roccaforte di libertà e alla Malindina brindavamo al nuovo anno.
Così ricordo quegli anni sulla costa.

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