sabato 28 giugno 2008

La mia Itaca







Ho navigato acque agitate dalle tempeste, ritrovando a tratti, di Itaca, solo uno scoglio vestito di muschio sul volto notturno di una luna nuova.

Il mare nostrum di acquari e vele colorate a punteggiare l’orizzonte erano la compagnia mentre cercavo la mia Itaca.

Il vecchio Ulisse annodava le reti tra i pescatori sull’isola di tetti azzurri e gatti appisolati nei vicoli, ascoltando un canto venire dal mare.

Suonavano le campane di San Giovanni e la Gran Madre parlava.

I Cappuccini rispondevano. Come allora.

La mia Itaca è stata un pezzo di corallo, il riflesso perlaceo di una conchiglia che ancora conserva la mappa dei nuovi viaggi e all’orecchio, sordo, l’eco del mare. Che chiama.

Che chiama.

Come chiamò Ulisse.

La mia Itaca è terra di pensieri, lo spazio bianco tra le parole, la libertà barattata con una tempesta che fa vacillare l’anima, guscio di noce. Poi l’orizzonte, limite allo sguardo.

Al di là troverò Itaca.

Forse più vecchia, spopolata, il brandello di un’odissea lunga una vita.

Allora percorrerò la sua lunga spiaggia fino al tramonto e siederò con Ulisse e i pescatori ad annodare le reti.

Colmando lo spazio bianco tra le parole.

La distanza di un’assenza.

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