martedì 8 gennaio 2008

Aix-en-Provence, la petit rue des pas perdus

Tons

Contraste

Harmonie

Termes

Techiniques

Le mie mani ricamavano lavanda sulla tela bianca del tuo insensibile sentire di etere e lividi i pensieri appena spogliati,

di cinguettanti mattini,

gambe nude sulla tua voglia,

che vegliava fino all’alba,

battezzati sbadigli

di gelsomini con bacchette d’incenso alla violetta,

smalti e cammei.

Aix-en-Provence,

quadri a metà

di un mare appena accennato

a lambire i pennelli

macchie di blu,

forse era il cielo

sull’onda viola di lavanda,

risacca in petali,

fiori del male,

le mie mani cucivano indaco

le tue parole sulla bocca

a Le Tholonet, dove cercavi ispirazione, Paul.

Quando Renoir domandava: “Ma come fa? Non mette neanche due macchie di colore su una tela, senza fare una cosa eccezionale”

Maledetti,

maledetti.

Poeti.

Benedicimi,

coito interrotto su fazzoletti di carne, la petit rue des pas perdus.

Il Carro

Girava le carte una zingara e dalle sue tasche scucite tintinnavano avanzi di monete straniere, sul frinire assordante di cicale a vestire l’ombra della vicina Camargue.

Sesso e mare mosso, aggrappata alle tue braccia nascoste in quel che avanzava dei tuoi occhi,

dentro,

dopo.

Navigammo naufraghi in noi tutta la notte, poi l’alba si svegliò affranta, quando dietro il velo di fumo e nebbia di fiato scalammo scalzi la montagna Saint-Victoire, appoggiata sulla tua tela, tocchi di colore,

quando donna dipingevo ombre sui muri,

inchiostro i capelli

nella macchina da scrivere

di refusi come grate di parole al confessionale,

pietà

il buio riflesso di una luna assente,

sfumavo in angolo col cuore,

a carboncino.

Hai venduto una sola tela prima di morire.

Nature morte,

le mele,

ritorno ad Eden,

mai chiaro-scuro della prospettiva, solo colore a riconoscere forma e spazio

di tovaglie e brocche,

nature morte,

mele

la sfida del peccato.

La lampada Tiffany, il bicchiere di vino nuovo,

le braccia conserte dell’uomo con il cappello di paglia,

uva caduta nei filari di gesso quando a mezzodì si alzava il vento,

faceva tremare l’argento degli ulivi,

portando in dono voce di campane,

le clocher du village,

che già era ora di tornare.

Campagna silenziosa di serpi nei muri di pietra e una casa là,

Aix-en-Provenece,

tra i tuoi servili silenzi sordi

e

i pranzi su una tovaglia rammendata di ricordi.

Asole vuote a inciampare acca mute,

nello spazio di centrini lavorati su buchi all’intreccio di fili,

sapiente intrigo di corte ciabattando

dietro rosari da sgranare,

in granelli di sabbia,

a ferire lingue d’ostriche

cicatrizzando perle,

tra le gambe.

Indifferente ai soggetti, li usavi solo per condurre i tuoi esperimenti sul colore,

eri interessato ai volumi, non allo spazio,

ero t-r-a-s-p-a-r-e-n-t-e

Cloroformio d’estasi a coprire parole putride,

appendice di carne

consumando le unghie a pelle,

tra i denti,

di me in vetrini per prelievi bioptici,

a sputare tisi di memoria.

Tutta la realtà la riconducevi a tre grandi solidi: cono, cilindro e sfera.

Cubismo erotico di astrazioni

in sillogi damascate e petulanti,

organza ed essenze di Provenza,

l’entroterra del mare,

lucido negativo come ballerine a Pigalle.

Le grandi bagnanti,

inserivi il nudo nel paesaggio,

mentre spogliavo la pelle per ore,

nessuna verosimiglianza,

la donna a sinistra non aveva nemmeno il volto.

Fu così facile dimenticarmi.

Dalie nere,

scalzi

mazzi di lavanda a testa in giù,

al mercato di utopiche fantasie distratte, come cammelli ad attraversare la cruna di un ago,

e un mare a dondolare nelle gobbe

da tagliare in certi asettici deserti per pescare ambiguo un azzardo alla vita.

Sottoveste, in sottotono alla liturgia degli avverbi di tempo,

per sempre e mai

a

Saint Sauveur, la cattedrale,

primo mistero doloroso,

Via Crucis delle parole non dette.

Le tue mani ritmavano pittura poetica,

propulsione di rifiuto a sputare sillabe dispari,

sovrapponevi i colori con spalmature successive, senza mai mischiarle,

non rappresentavi sulla tela il carattere del soggetto,

ma la percezione che di esso avevi,

fattura piena di grazia.

Cézanne,

quel temporale improvviso mentre dipingevi all’aperto,

e

luce perpetua su labbra esangui,

viola di lavanda,

cucendo Requiem con aghi d’istrice,

cenere da chiudere in terrecotte raccolte in fondo al mare,

di transatlantici naufragati cadaveri.

(Conservo la lettera di Madeleine, trovata dietro uno specchio antico nel retrobottega di un rigattiere a Montmartre, comprato per pochi franchi e polvere, carezza preziosa sul piano del comò orlato di piccoli buchi, il paziente lavoro dei tarli e del tempo)

Oggi cerco tra le tue tele quel che resta dello studio di un viso,

che hai cancellato

o

il rifiuto di rappresentare fedelmente un soggetto,

lei su quella tela,

Le grandi bagnanti,

tutte e nessuna.

Per dimenticarla, nessun tratto a ricordarla.

Quel che ti resta di lei,

in tasche di assenzio

mentre cammino lungo la petit rue, viola di lavanda,

zollette di zucchero e gocce di laudano,

allucinazioni

vagheggianti,

parole viandanti

lividi i polsi,

a sbucciare una mela con le unghie

al bistrot Deux Garcons,

ritorno a Eden.

Tons

Contraste

Harmonie

Termes

Techiniques

-Ho incontrato in fuochi fatui, Zola e Baudelaire al bistrot Deux Garcons dopo il funerale di Cézanne, io Madeleine-

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