giovedì 17 aprile 2008

Ballavamo il sirtaki al Cafe d’Amour





“When the moon hits your eye like a big pizza pie
That's amore…” D.M.

Il mago murrino ballava il sirtaki con il mimo sulle scale del teatro.

Maschera veneziana di gesti antichi e raffinata memoria, un boa di piume sul collo, in salotti letterari e casa di bambole.

Muoveva le braccia impiccando vocali con il rigo del pentagramma e sulle mani bianche come cera ammaestrava rondini, note di un Carnevale di annegate lagune.

Al Cafe d’Amour gli sgabelli intorno al tavolo giravano come cavalli di una giostra, ci siamo stati tutti. La notte di Halloween ricordavamo le estati su una terrazza davanti all’isola dal profilo di tartaruga, e piume da raccogliere, piegavamo i lembi di un tovagliolo per farne barche di carta da far scivolare tra le bollicine del Rotary che bevemmo a turno, passandoci il Graal alla Cappella dei Templari.

Oh, sì, era lo skipper di transatlantici mai salpati dall’etichetta, sul collo verde di una bottiglia.

Oh, sì, Cafe d’Amour a ballare il sirtaki come in certe taverne di Atene, l’inverno, e l’Ouzo aveva la voce di anice e assenzio.

Passarono tutti di là e di là qualcuno se ne andò, la morte nel mazzo dei Tarocchi e il Fool, era solo un matto.

Che matto.

Lui, aveva parole gravide, negazione di rose rosse, lasciava messaggi nella copertina dei libri, a fermentare e sigarette a metà.

Sigarette americane, l’aggettivo di un blu. Mozziconi di presente.

-Devo comprare un posacenere-

-Ma non fumi-

Ballammo il sirtaki anche quella sera, senza banchetto.

Lunghe notti di brume nebbiose tessendo tele di ragno, il velo della sposa, strascico sulla navata di San Filippo Neri. Troppo lungo il cammino per l’altare e il tempo di un “non lo voglio”.

Che noi fuori, su una barca di carta, tenevamo stretto il riso che nell’attesa germogliò lavanda tra le dita.

Un quarto di luna da lasciar passare tra le maglie larghe di una coperta di neve nel solstizio d’inverno.

Origami.

Caffè freddo al Baratti & Milano.

Barattami il presente con l’eternità, sortilegio di una strega al Tempio di Danamur, che Le Chat Noir era un ristorante, a Parigi.

E lui era un pescatore di ostriche da assaggiare con la lingua.

I denti in filo di perle per la sposa eretica tradita Sharazade di tempi moderni.

Ballavamo il sirtaki tenendoci abbracciati e muovendo a ritmo le gambe, poi mettevamo acqua di Po sui polsi, profumo di muschio per sciacquare lenzuoli di sanscrito.

Restavamo sulla riva come barche rovesciate di parole,

leggendo Talgo, in incappucciati presenti a intrecciare sul petto delle colline scialli di nebbia.

Poi un ramo d’abete conficcato nel cuore la seconda domenica di Quaresima.

Non ballammo più il sirtaki al Cafe d’Amour, caro il mio barbarossa.

1 commento:

Anonimo ha detto...

"....barche rovesciate di parole..."

Originale questa frase, proprio originale... Devo comunque averla già letta in qualche posto... Sì, in qualche posto, devo averla letta già almeno 30 o 40 volte!