sabato 17 marzo 2012

A sud di ovest

Le colline addolcivano il paesaggio, smorzando gli spigoli dei cipressi e delle parole non dette, dette troppe volte, avanzi di frasi nelle tasche, come vecchi scontrini all’uscita di un caffè.

I fiori dei peschi e i mazzi di ginestra accompagnavano il sentiero di terra sterrata, fatta di polvere di gesso, come i pensieri di creta, mutevoli nelle tue mani.

Attraversavo la campagna, come altre volte, ogni volta per tornare. E allora c’erano giorni fatti di pioggia negli ombrelli rovesciati, e foglie d’autunno, e giorni chiari e corti bianchi di neve. Giorni di grano e di notti lunghe con un papavero al posto del cuore.

La tua casa è là, appoggiata su una collina e da quella finestra grande ogni volta che mi affaccio mi stupisco di non trovare il mare sull’orizzonte. Questo mio pensiero ti fa sempre ridere.

Questo posto è come un soffione, sembra che il vento lo possa dissolvere e frangere in mille particelle, come un caleidoscopio di luci e ombre dove riposare.

Chiudo tra l’indice e il pollice, l’indice e il pollice un rettangolo bucolico che attraversa lo sguardo come cavalli al galoppo, mentre tu parli di una nuova musica, di parole sedute su un pentagramma come rondini pronte a volare.

Dalla camicia aperta l’iniziale di un nome appesa al collo, ne ripasso lenti i contorni sulla tua pelle.

Poi viene la sera, piano, annunciata e pianta dal tramonto, imbastita nell’orlo della notte con l’imbrunire.

Mentre guardo fuori dalla finestra, il riflesso di noi, come al di qua di uno specchio, in una bolla di vetro, come quelle sulle bancarelle dei turisti. E ti chiedi questo posto dov’è. A sud di ovest.

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