lunedì 4 febbraio 2008

Jules e Jim



Picasso
au Lapin Agile

















“Lo Zahir.

Qualcosa o qualcuno che, una volta che si è stabilito il contatto, finisce per occupare a poco a poco il nostro pensiero, fino al punto che non riusciamo più a concentrarci su nient’altro. E ciò può essere considerato santità o follia” Fauborg Saint-Pères

Côte d’Azur

Kathe aveva salito i gradini di fretta e la sua mano batteva il ritmo di quella corsa sul legno della porta.

Jules aprì, lei gli passò accanto, un cappellino buffo le teneva nascosti i capelli, la gonna sfiorava le calze, che lui pensò gli ricordavano troppo sua madre, combinata così dimostrava dieci anni di più.

Lui la raggiunse in salotto, lei aveva buttato la mantella sul vecchio divano che cadendo si era appoggiata al tappeto consumato, i capelli ora apparivano disordinati. Sorrise e subito gli anni tornarono indietro. Non c’erano rughe sul viso: era giovane.

“Ho bisogno di consultare la tua biblioteca” disse di fretta.

“Oh io sto bene Kathe e tu? Tutto bene il viaggio?” l’apostrofò divertito Jules.

Lei si fermò a guardarlo, mise le mani sui fianchi e poi sbuffò: “Insomma, ti vieni a seppellire in questa città sul mare così distante da Parigi, ho fatto un viaggio lunghissimo e ho davvero bisogno del tuo aiuto, mi servono tutte le tue conoscenze sui paesi islamici, alcune traduzioni dall’arabo e poi devo liberarmi da questo Zahir”

Jules aveva molti volumi nella sua biblioteca, non sapeva bene cosa cercasse Kathe, ma conoscendo la sua costanza sapeva che l’avrebbe trovata.

A qualunque prezzo, quello era fuori discussione.

Una volta aveva fermato un treno a Salonicco mettendosi sui binari solo per un’assurda discussione con Jim. Le era costato una multa salata.

A Gare de Lion guardavano passare i treni.

St. Denis per i dipinti di Monet.

La mattina presto, della domenica, poca gente: un caffé, un giornale, una sigaretta, un cane.

Qualche auto. Di certo di chi tornava. Dalla notte.

Kathe lo guardava spazientita: “Allora mi aiuti?”

“Le tue carte che dicono?” domandò lui.

“Hanno smesso di parlarmi.” disse laconica.

“Da quanto non preghi? C’è un vuoto in te…”

“ Il vuoto non me lo colmerà il tuo Dio”

E iniziarono a sfogliare libri, a guardare vecchie mappe, mentre il sole scendeva piano, lasciando un fascio di luce chiara sul pavimento, che faceva capolino tra le tende appena socchiuse.

Al monastero le suore confezionavano le ostie per la messa della domenica

Veniva un profumo dal mare, un’aria umida che precedeva la sera.

Uscirono in terrazza.

“Devo trovare il modo per arrivare in Mali, tu non potresti…” accennò lei.

“No, perché è una follia e perché se vuoi arrivarci dovrai farlo da sola, ma ricorda che potresti aver fatto tanta strada per nulla.”

Butta la luna

Lei avvertì un brivido, come quando fece quel salto nella Senna. Un tuffo da lasciare la bocca asciutta, come la paura.

Stava calando il sole, Kathe pensò che quando scende il buio a Parigi ognuno ha la sua chiave per aprire le porte della notte.

Questa volta le sarebbe toccato bussare, in fondo Jules come Jim era fatto di parole scritte.

L’Africa era distesa in quella notte e sapeva che avrebbero seppellito la luna nei loro bicchieri di rum.

Inginocchiata, avrebbe pianto perdono.

L’inferno è solo una bugia.

Ma al Paradiso nessuno crede, dopo morti.

Aveva un amico che viveva nel sud della Francia, ritmi lenti scanditi da stagioni di lunghe primavere.

Un ombrello nella borsa, ora che ci pensava avevano previsto pioggia.

Un amico che non faceva caso se vestiva come una zitella, che aveva sempre un buon caffé da offrirle, in fondo non poteva essere diversamente, era un barman.

Forse ora le ci sarebbe voluto qualcosa di più forte.

Un alexander, forse. Che buffo, Alessandro nel nome del figlio.

Noce moscata

Sarebbe partita e chissà dopo i 9600Km della Parigi-Dakar avrebbe cancellato il suo “Zahir”.

Il peso dell’odio.

In caso contrario ne sarebbe rimasta prigioniera per sempre.

Bevendo thè nel deserto.

Dal niente, verso il niente.

Una sera au Lapin Agile.

Mentre Aldebaran era forse, solo una stella. Cantata dai marinai.

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