venerdì 25 novembre 2011

Nata libera


-Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima- Ligabue






-Informiamo i signori passeggeri che l’imbarco del volo 6221 è stato spostato al gate nove-

Ascolto l’annuncio diffuso in aeroporto. La commessa mette i miei acquisti nella busta trasparente e timbra la carta d’imbarco.

Ci sono cose che accadono perché è scritto. Perché lo sapevi. E sono spesso una variabile imprevista nella tua vita. Quando tutto sembra ormai posto su rotte tranquille, quando il pensiero è libero da legami malsani, come febbre di malaria. Accade.

Una mano sul mio braccio. Un volto. La variabile indipendente. Ci sono tanti modi di essere vittime di noi stessi e tanti modi per definire uno stato di malattia che inquina il nostro pensare, chiudendoci in una rete a maglie strette.

-Posso parlarti?- La domanda è semplice, ma apre una serie di porte e di emozioni, rompendo l’argine di ricordi ben catalogati e conservati. Da rivedere quando si ha voglia. Come un album di fotografie. Lì in quel momento non volevo. Tuttavia non avevo scelta.

La mano sul braccio. Guardai il tabellone delle partenze.

Il tempo di un caffè. Nell’equilibrio precario e instabile di un gioco fatto con i bastoncini da Shangai. Immobile il mio pensiero, mentre intorno a me tutto continuava a muoversi.

Frazioni di secondi che sembrano anni, un lampo nel cielo, l’attesa che si fermi la pallina della roulette, adrenalina. E ti sembra che la vita ti passi davanti.

-Informiamo che è iniziato l’imbarco del volo 6221.- e a seguire le procedure richieste per l’imbarco.

La mano ancora lì, sul braccio, la domanda nell’aria, il passato mescolato al presente.

La mia scelta è un no. Negazione, chiusura, fine. E non avverto la drammaticità del primo istante dopo, l’elaborazione del dolore, il vuoto. È un no che mi libera.

Chiamano il mio nome per l’imbarco immediato.

Ora non ho più la mano sul braccio. Solo una voce che chiama il mio nome.

Alzo il passaporto e la carta d’imbarco, mi fanno passare. Il gate è aperto hanno fatto l’ultima chiamata con il mio nome.

La hostess controlla i documenti e percorro il braccio del finger che mi separa dall’aereo.

Mi siedo. Nell’attimo esatto in cui l’aereo stacca da terra mi sento libera.

C’è un posto, dove sto andando, che si chiama Elsa Mere.

Perché in fondo, io so, che sono nata libera.

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