domenica 27 novembre 2011

Le voci del Ritz

A Lea e Gilda

Aprii la cassetta delle lettere e tra le bollette, le pubblicità c’era una busta color panna, con il mio indirizzo scritto a mano. Di questi tempi la gente scrive sempre di meno. In un’ epoca fatta sms, mms in tempo reale per farti sempre partecipe della vita degli altri, anche quando ne faresti volentieri a meno, è curiosa questa lettera.

Torno in casa e la apro. Leggo. Rileggo. Lea e Marco si sposano e mi invitano a Parigi, c’è pure la convocazione per il volo.

Quando ricevi una notizia così resti spiazzato, su un social network come facebook te la caveresti almeno con un “mi piace” e pollice alzato di memoria di epoca romana.

Squilla il telefono, è Gilda. Stesso invito.

Per giunta saremo pure testimoni, lei di Marco io di Lea.

Di questi tempi va di moda sposarsi in location particolari, la casa di Giulietta a Verona, un qualche castello nella campagna toscana, una spiaggia esotica, un po’ meno di moda Las Vegas.

Parigi in autunno è magica, ha quel sapore ambrato, come un bicchiere di cognac, quel volteggiare di foglie secche per gli Champs-Élysées.

La sera prima del matrimonio c’è una festa, A l’ombre di Notre Dame. La Senna scivola via liquida, assorbendo le luci dei lampioni, velata appena dalla scia dei Bateaux Mouches.

Pochi amici, una tavolata e le parole, non è casuale la scelta di Parigi, per queste persone che in un modo o nell’altro ruotano intorno alla vita di Marco e Lea. Si parla francese, ma ascolto la carezza morbida che solo l’arabo porta con sé, in concetti incomprensibili, ma espressi con una musicalità poetica.

A volte è così anche nella vita. Parlarsi intendo. O non parlarsi. Al di là della lingua con cui ci si esprime andrebbero colte le vibrazioni, le paure, le speranze che si celano tra le parole.

Passando accanto al bancone del bar una locandina attrae la mia attenzione: Noè espone i suoi quadri per una mostra temporanea a Montmartre.

Quando torno in albergo lo chiamo. In fondo la mia anima è nata qui. In una soffitta sulla Senna.

Il mattino dopo mi alzo presto, faccio colazione con i croissant di sfoglia. Solo qui hanno questo sapore, di burro e zucchero e mi ricordano certe merende d’infanzia in Provenza.

Sfoglio distratta Le Figaro.

Poi esco prendo la metropolitana.

È nuvoloso. Ma è presto potrebbe anche uscire il sole. Tiro su il bavero del cappotto e percorro le strade che conosco, in quell’angolo di città che mi calza come un guanto. I negozi, le strade, gli alberi, tutto così familiare.

Quando entro nella piccola bottega un trillo di campanello annuncia la mia presenza.

Noè sbuca tra le tele, maestro di immagini.

Il tempo scorre via veloce attraversato di ricordi, quando il presente è uno scampolo di città, lo spazio della scacchiera dove stare attenti a non muovere lo scacco al re.

Esco con la mia tela e la dedica del mio amico pittore per Lea e Marco. Per uno sciopero la metropolitana è chiusa. Avete mai provato a prendere un taxi a Parigi in queste occasioni?

Alla fine riesco a tornare al Ritz in tempo, o almeno credo.

Lascio la tela in reception, seguo le indicazioni ed arrivo nella sala in fondo a un corridoio.

Gli invitati si stanno sedendo. Un funzionario sta parlando con Lea e Marco. Gilda è già seduta.

Arrivo vicino a Lea che mi fulmina con un’occhiata.

-Ma che fine hai fatto?-

-Bel vestito.- cerco di stemperare.

Le voci del Ritz, quell’atmosfera di tempi andati, di poeti e pittori. L’amore nelle declinazioni più impensate.

E un sì. Doppio sì. Per un plurale di presenza. Da oggi in poi.

Lea e Marco hanno un volo nel pomeriggio per gli Stati Uniti.

Io e Gilda ci fermiamo una notte ancora. Ne approfittiamo per lo shopping natalizio.

La mattina dopo l’addetto alla reception mi porge un biglietto e il bouquet di Lea.

“Se l’avessi lanciato ti saresti defilata.”

Guardo Gilda, le porgo il biglietto ride.

-Ha ragione Lea, io mi sarei defilata e sarebbe toccato a te.- le dico lasciandole i fiori in mano.

Gilda non ride più.

Prendiamo le valige e le buste con i regali. Il taxi procede lentamente nel traffico verso l’aeroporto.

Fermi ad un semaforo osserviamo un ragazzo e una ragazza che camminano sotto la pioggia, senza ombrello. Si tengono per mano. Sono curiosi gli innamorati a Parigi.

Gilda apre lo sportello del taxi, scende, si avvicina ai due ragazzi porgendo alla giovane il bouquet dicendolo loro qualcosa. Poi risale. Il taxista ha osservato la scena dallo specchietto retrovisore senza tradire la minima emozione. Però ora sorride.

Gilda mi guarda.

-Certe catene di Sant’Antonio è meglio non interromperle.- dice.

-Giusto.- dico.

Devo ricordarmi di raccontarlo a Lea.

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