sabato 23 luglio 2011

Buena Vista Social Club













«Vieni con me a Cuba» disse Marco.

«Perché?» replicò Margherita.

Marco scosse la testa alzandosi. Lei lo seguì

«Scusami, rifammi la domanda»

«Vieni con me a Cuba?»

«Sì»

Lo specchio rifletteva la ballerina, gli scaldamuscoli rosa, i capelli raccolti, le scarpette, sulle punte, arabesque, pliè. Ultime prove.

Le note calde di un tango scivolavano come petali di rose sfiorite, sul limitare di un’estate ormai nell’aria, di vie deserte e finestre a respirare la notte.

L’Havana era percorsa solo dalla musica quella sera, dopo la pioggia. Le onde che arrivavano sul Malecòn erano una carezza morbida, il ritorno di un ritmo fragile. Una copia stropicciata del Granma su una panchina.

Il teatro era gremito, gli strumenti musicali accompagnavano la danza sinuosa, e tutti erano rapiti da un tempo andato quello che sta dietro lo specchio, che vive parallelo.

Al Floridita il rum nei bicchieri per un daquiri, quel vecchio libro comprato al mercatino poche strade più in là, che porta la firma di Hemingway.

Una cerata per coprirsi dalla pioggia, compagna discreta che arriva improvvisa, come un temporale estivo, a Trinidad, che sta appesa al collo come una collana, il segreto racchiuso nella sabbia delle maracas.

Poi per i turisti gli ambulanti spiegavano le magliette del Che, commercializzando la libertà, barattata con un peso leggero come una foglia di tabacco.

Compay Segundo sulla copertina di un disco che canta:

“De Alto Cedro voy para Marcané
Luego a Cuerto voy para Mayarí”

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