lunedì 18 luglio 2011

Finibus Terrae


“Non ti sai nascondere davvero…

Quante volte sei passata
quante volte passerai
e ogni volta è sempre un colpo all’anima
quante volte sei mancata
quante volte mancherei
un colpo al cerchio ed un colpo all’anima” Ligabue



A Lory e Dario che mi registrano il messaggio del Presidente ogni capodanno, ovunque io sia.

A Laura e Sandro, che mi hanno tirata fuori dal deserto della Parigi-Dakar.

A zia Elvy, Gandoli come Cap d’Ail.

Ad Angela e Ide, il mio paio d’ali.

A Patrizia, tutto si può, basta volerlo.

La pioggia bagnava le vetrate del minuscolo aeroporto.

Quando ci chiamarono per l’imbarco attraversammo la pista a piedi, il piccolo velivolo aveva già messo in moto i motori. L’aria umida di pioggia si mescolava a una malinconia.

I cespugli di ibisco e le buganvillee erano un’esplosione di colori, le vedevo dal finestrino, mentre lasciavamo la piccola isola, lambita da mari tranquilli e acque basse. Dove la mattina uscite di casa prendevamo il caffè con i piedi nell’acqua.

Ricordo che il primo giorno, dalla veranda alzai le mani per contenere un’immagine, come se avessi avuto una macchina fotografica: il cuore scattò una fotografia.

Una partita a carte con il destino e una noce nella mano.

Carta

Ci sono posti che finiscono, più in là non si può andare. Andare oltre, cercare un volto scoperto nello specchio alla luce di una candela, tanto tempo prima.

Un sogno, un numero, ripetuto e giocato mille volte, e perdere, mille volte.

Vedo

Finibus Terrae, una foto scattata al limitare dell’abisso.

“Fermati, è pericoloso”

“Ma c’è il prato, dietro”

Il prato era una striscia di terra che non mi avrebbe salvata, ma non mi serviva il paracadute quel giorno.

Lascio

L’aereo rulla piano sulla pista e mi permette di abbracciare con lo sguardo le colline, le piccole case, poi prende quota, sale per un po’, poi si piega ed è il saluto al mare, alla spiaggia, a un posto che vive solo dentro di noi.

Poi il cielo.

La mia casa, il mio tempo. Le lettere di amici con francobolli stranieri.

Full d’ assi

Un passo conosciuto alla porta. Un canto conosciuto quella voce. Il tempo del vino e delle rose.

Un dito sulle labbra, il segno universalmente condiviso del silenzio.

“Non dire niente”

Stamattina, camminando sulla spiaggia, ho inciampato in un messaggio in bottiglia.

Un azzardo con il destino, quando alla mano di carte mancava la carta buona, che è arrivata, per ultima, inattesa, inaspettata, proprio quando ero lì per lasciare la stazione e un treno si è fermato.

Siamo il nostro passare, siamo i giorni buoni e quelli bagnati di pioggia. Siamo sole e tempesta.

Siamo le parole che vegliano la luna nel cuore della notte. Siamo bocca e bocca per un bacio.

Ecco, semplicemente, siamo. Il nostro tempo. Sull’orlo di un precipizio, di una vertigine, di un abisso, al limitare di Finibus Terrae.

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